Nancy Dell'Olio (Foto LaPresse)

Ambasciatrice in tacco sedici

Michele Masneri

A Londra con Eriksson la stagione della celebrità, oggi l’incarico per la Puglia. Incontro con Nancy Dell’Olio

Datemi un tacco sedici e vi solleverò il mondo. O almeno, le Puglie. Nancy Dell’Olio, già italiana più celebre d’Inghilterra, ex compagna dell’allenatore della Nazionale Sven-Göran Eriksson, “la risposta italiana a lady Diana”, come la chiamavano i tabloid, è stata nominata ambasciatrice, non da Sua Maestà Britannica ma dal governatore Emiliano. “Ambasciatrice della Puglia nel mondo”, con tanto di ufficio e di ruolo, e che ruolo: scorrazza di sagra in sagra, di fiera in fiera, di taranta in taranta, per promuovere la sua Puglia. La si bracca a Cisternino, dove presiede, madrina esoticamente tarantolata, un “Festival dei Sensi” (honni soit qui mal y pense: è un raffinato festival letterario). Carbonizzata d’abbronzatura ma levigata come pietra di Lecce, arruffata come una leonessa del Tavoliere, leggins di leopardo, cappello da cowboy, un iPhone con “un rubino grezzo” sopra, eccola l’ambasciatrice a bordo piscina naturalmente di una masseria, che raggiunge perforando il manto erboso con lo stiletto diplomatico. “Devo controllare tutto, badare soprattutto alla qualità, la Puglia è straordinaria ma adesso dobbiamo fare uno scatto in avanti”, dice, “il passaggio fondamentale sarà quello della formazione nel turismo”, insomma ha preso il suo incarico molto sul serio, mentre guarda un cameriere che porta un caffè, “non ci siamo, non ci siamo”. “Ho viaggiato tanto, adesso voglio tornare alle mie radici qui, fare la differenza”, dice l’ambasciatrice, nomina per cui qualcuno ha mugugnato, ma lei ha un curriculum pazzesco: nata a New York, rinata a Londra, antenati a Bisceglie. Chi la batte. “Mio padre partì dalla Puglia, famiglia di marinai, mio nonno aveva una flotta di pescherecci. Lui però sul transatlantico scopre di soffrire il mare. Così arriva a New York, dice che scende per comprare delle cartoline, e non torna mai più indietro. Lì raggiunge dei parenti di Bisceglie. Mette su una startup, diremmo oggi, cibo italiano take away. Ottanta ristoranti”. Venivamo in Puglia ogni estate, in vacanza; poi sono venuta a studiare legge a Bari e poi sono tornata per specializzarmi a New York. L’ambasciatrice, che si firma Cav. Avv., ed è entrambi, è nota alle cronache, come si ricorderà, soprattutto per la lunga relazione con Eriksson, e la saga anglo-svedese-pugliese che fece impazzire il mondo. 

 

Nata a New York, antenati a Bisceglie, eccola abbronzatissima, leggins di leopardo, top nero, un iPhone con “un rubino grezzo” sopra

“Devi capire” – dice – che a Londra l’allenatore della Nazionale è il personaggio pubblico numero tre, dopo la Regina e il primo ministro”. Che tu hai frequentato assiduamente. Pare che tu avessi anche una storia con Tony Blair. “Ma no, sciocchezze”, dice, sgranando gli occhioni. “Tutta colpa di una foto che ci fecero a Downing Street. Ma era questione di body language, Blair mi strinse la vita, mentre Sven stava tutto rigido come un’aringa, che ci posso fare. Mica è colpa mia”. “Senta, ma questo ghiaccio si può avere?”, intima intanto al cameriere, ignaro che lei sia ambasciatrice della Puglia, che vede tutto e annota tutto. “Pure Sven alla fine della nostra storia me lo chiese, se c’era stato qualcosa con Blair. E io sai che gli ho detto? Ormai che importa… Così l’ho lasciato nel dubbio”. La soap dell’Eriksson tarantolato piaceva perché c’erano scappatelle, fughe, riconciliazioni.

 

Come nel 2004. “Quando uscì la notizia che Sven aveva avuto un flirt con una segretaria a Stoccolma io sparii dalla circolazione, e venni qui in Puglia. Ma mi scoprirono subito, trovo tutte le televisioni ad aspettarmi, allora scappo di nuovo. Elicotteri sulla masseria. A quel tempo ero anche protetta da Scotland Yard, perché mi arrivavano terribili minacce. C’era uno che mi perseguitava: vuoi morire d’estate come lady Diana?’, mi diceva. Vengo scortata dalla Guardia di finanza verso l’aeroporto di Bari”. Aereo privato naturalmente. “Sì, certo. Ma non pensare, io posso anche prendere il Ryanair, io sto benissimo sul Ryanair. Il fatto è che ero qua col mio staff”. Quale staff? “Beh, un’addetta alla comunicazione, un’assistente, una segretaria. Almeno tre persone, sempre”.

 

Le scappatelle troppo cheap di Eriksson. Il miliardario che l’ha abbordata offrendole un milione. Il rapporto con Carlo e Camilla

Proprio come lady Diana, insomma. “Fuori da casa mia a Regent’s Park sostavano perennemente una ventina di paparazzi accampati. Ci ho messo un po’ per abituarmi, alla fine gli portavo il tè e i pasticcini, poveretti. Ma all’inizio è stato uno choc. Quando Eriksson mi disse al telefono che aveva accettato l’incarico alla Nazionale io ero a New York. Dopo cinque minuti mi suona il telefono ed era uno del Daily Mail, chiedendomi di commentare la notizia. Avevamo i telefoni sotto controllo”. “Parto e “accanto a me sull’aereo, nella prima classe del 747, una giornalista mi dice: ‘D’ora in poi sappia che ci avrà davanti alla porta di casa”.

 

A differenza della vera lady Diana non rifiuta però il cibo. “Porti un po’ di parmigiana, caro, poi del prosciutto. E non si scordi le bollicine!”, dice imperiosa l’ambasciatrice al cameriere. L’ambasciatrice mangia e beve come un corazziere e non si sa come faccia a restare magrissima e scattante. “Ma io non mangio mai, non l’hai notato scusa? Io parlo solo, faccio finta di mangiare. L’ho imparato da Vittoria Beckam: è il triple L: long, liquid lunch”. “Ah, il vino ti fa male? Certo, capisco, allora devi bere tequila caro, è l’unico superalcolico che non contiene zucchero. Non dico per dire”. Lei infatti ha anche fondato una linea di limoncello senza zucchero. Fa parte del suo curriculum di ambasciatrice delle Puglie. “Si chiama Limonbello, lo facciamo con lo sciroppo di agave, l’ho messo a punto con mia madre, poi lo stiamo sperimentando a Londra, ma adesso è in pausa perché questa nuovo incarico mi impegna molto”. Anche il legame con Eriksson è stato una specie di stage alla Martini&Rossi. “Una volta siamo andati dai suoi, per Natale. Capirai, lì ci sono sei ore di luce, attaccano a bere appena svegli, si festeggia la vigilia. Cominciano subito con champagne e gin tonic. Poi a un certo punto gli uomini di casa si prendono una bottiglia di whisky a testa ed escono a bersela fuori nel gelo. Che cosa sessista. Una volta sono finita in coma etilico. Proprio svenuta. Da allora, sono come vaccinata”. Il rapporto con la famiglia svedese però non ha mai funzionato molto: “Mia suocera non parlava inglese e io certamente lo svedese mi rifiutavo di impararlo. Io sui tacchi, nel ghiaccio, inciampando, mentre i maschi bevevano whisky, lei mi chiamava Greta Garbo”.

 

“Pure Sven alla fine della nostra storia me lo chiese, se c’era stato qualcosa con Blair. E io sai che gli ho detto? Ormai che importa…”

I tabloid dissero che avevi salvato la Nazionale perché perdonavi le scappatelle all’allenatore. “Che vuoi, lui era così, smaltiva le sconfitte calcistiche coi tradimenti. L’ho capito subito. Ognuno ha i suoi metodi del resto. Però scappatelle così cheap, con la segretaria, o con quella delle previsioni del tempo, ecco, questo lo trovavo inaccettabile. Se devi tradire, fallo con qualcuno del tuo livello, e che sia a rischio come te: invece quelle andavano a spiattellare subito tutto alla stampa”. Tu tradivi pure? “Mai ricambiare con la stessa moneta”. E come allora? “Con la sua carta di credito”.

 

Eriksson l’aveva conosciuto a Roma, quando era allenatore della Lazio. “All’epoca ero sposata col mio primo marito, Giancarlo Mazza”. Professione? “Notaio”. “A un certo punto, socially, conosco Eriksson, ci innamoriamo, e lui comincia a chiedermi di lasciare mio marito. Io però non ho il coraggio, traccheggio. Allora ci pensa lui, gli chiede appuntamento. A mezzogiorno, per l’aperitivo”. Nell’attico di piazza del Popolo arriva allora Eriksson, amico di famiglia, e qui diventa una commedia sofisticata, il marito notaio pensa che sia lì a chiedere dei consigli catastali-fiscali, mette in fresco una bottiglia di champagne, i due si trovano faccia a faccia, Nancy, scendi (Nancy è di sopra, ancora a letto). “Io impietrita, non riesco a scendere questa scala”. Poi scende, prende lo champagne, poi il marito notaio chiede: “Per quello che hai da dirmi Nancy può restare?”. Eriksson: “Nancy deve restare”. L’allenatore dice: “Mi sono innamorato di tua moglie”. “Mio marito rimane impassibile. E’ vero quello che dice Sven? Io do una risposta che scontenta entrambi: credo di sì”. Il marito è scontento per quel “sì”, l’amante per quel “credo”.

 

“Fuori da casa mia a Regent’s Park sostavano una ventina di paparazzi accampati. Alla fine gli portavo il tè e i pasticcini, poveretti”

Comincia così l’avventura londinese, “io mi ero preparata, avevo letto anche un libro che si chiamava The impossible job, sul lavoro degli allenatori della Nazionale, ma eravamo troppo esotici, lui era il primo ct della Nazionale inglese straniero, e poi c’ero io, l’italoamericana, figuriamoci se ci potevano lasciare in pace. Era poi l’epoca in cui nasceva il fenomeno delle Wags, wives and girlfriends, le mogli e fidanzate dei calciatori. C’era la moglie di Beckham”. Lei è un po’ la mamma di queste wags. “Beh, mamma. Diciamo sorella maggiore”. L’età dell’ambasciatrice è coperta da segreto diplomatico. “Ma è su internet!”, protesta lei. Sì ma ci sono due versioni, una dice che sei del ‘64 e una del ‘58. “Eh, ’58, addirittura. Facciamo ‘66 allora”. Niente. Di Beckham si è mai innamorata? O di qualche giocatore bonazzo? “Ma no, assolutamente, io sono affascinata dal potere, e dalla testa”. “Dalla cultura”. Perfetto, ti troviamo un bel professore di Cisternino. Oppure questo cameriere (il cameriere porta finalmente il ghiaccio, tutto sudato). “No, beh, che c’entra”. Magari è un intellettuale pazzesco. “Adesso, non esageriamo, ci vuole anche l’attrazione fisica”. “E poi, che frase stupida! Non è che cerco il denaro, figurati, avrei avuto un sacco di occasioni se avessi voluto l’uomo ricco” (occhiata da Crudelia Demon). A proposito di ricchi, lei ha conosciuto anche Epstein, il miliardario americano che avrebbe trafficato anche col principe Andrea d’Inghilterra, “l’ho visto spesso, certo, a Londra. Era un uomo molto affascinante, sexy. A differenza di Weinstein, orrendo, con quella pelle butterata”. E di tanti che hanno lanciato profferte poco chic: come il famoso imprenditore che, durante una serata “mi dice: vado in bagno un attimo, e torna completamente nudo. Ma che è? Questi gestiscono imperi, fondano aziende, e poi ti arrivano lì col coso di fuori. A settant’anni. Ma ti pare?” E tu che hai fatto? “Che dovevo fare? Mi sono messa a ridere”.

 

Nemmeno Philip Green, il miliardario inglese proprietario della catena Topshop che l’ha abbordata scandalosamente, è riuscito a piegare la virtù pugliese. “Eravamo all’Annabel, con due amici, è stato dieci anni fa, al tavolo mi arriva una bottiglia di Dom Perignon da parte di Green, che conoscevo. A fine serata che dovevo fare, sono passata a salutarlo e ringraziarlo, ma lui insiste perché rimanga con lui. Io però vado dritta, entro nella macchina che mi aspettava. Lui mi rincorre. ‘Ti do un milione’, mi fa, ‘non fare la stupida’! Io impietrita. Per fortuna il mio amico, più pronto: ‘Solo un milione? Ma che vergogna’”.

  

Adesso starà un po’ a stecchetto, seimila euro al mese è lo stipendio come ambasciatrice della Puglia. “Ma che noia, tutti a parlare di questi seimila, come fosse uno scandalo!”, protesta. In realtà a me pare scandalosamente poco, li spenderai in un giorno, tra aerei privati e staff. “Beh, non esageriamo”. Il contratto poi è di soli sei mesi. Sei un’ambasciatrice co.co.co. “Rinnovabili!”, protesta.

 

L’ambasciatrice co.co.co. chi porterà ora in Puglia? “Ma io da sempre faccio promozione per la mia terra. Rocco Forte quando ha aperto il suo primo resort qui ha detto che l’ha fatto grazie a me”. E Boris Johnson? Lo porti? “Intanto verrà il padre che è un carissimo amico mio, in autunno. Poi altri nomi pazzeschi che non posso rivelare”. Suspense a Cisternino. L’ambasciatrice intanto continua anche il suo lavoro benefico con la sua fondazione, “Truce International”, per promuovere la pace nel mondo attraverso il calcio. A proposito di Truce, ti piace Salvini? “Per niente. E’ truce davvero!”. E i Cinque stelle? “Inaffidabili”. Le piace tantissimo invece Conte, “lo vedi che persona carina e garbata!”. Per forza, è pugliese. Politicamente l’ambasciatrice si dice “liberal, nel senso americano”. Vota anche in America, per “Bush padre, poi Clinton, Obama e Hillary”. Trump? “Per carità”.

 

Però devi essere più diplomatica. Quello è il presidente americano; ricordati che adesso sei ambasciatrice. “Che ci posso fare, sono fatta così!”. Anche dal “Grande fratello Vip” inglese l’hanno cacciata dopo una settimana; “ma no, avevo concordato di uscire fin dall’inizio. Un’esperienza interessante sotto il profilo umano. Dentro perdi un po’ la concezione del tempo. Ma io naturalmente avevo trovato il trucco. Continuavo a mandare avanti il timer del forno, di ora in ora, e regolandomi con l’alba e il tramonto sapevo sempre più o meno che ora fosse. Poi però se ne sono accorti e l’hanno disattivato”.

 

Solo sul reality più chic del mondo, quello dei Windsor, non si sbilancia e diventa diplomaticissima: se i traffici di Andrea d’Inghilterra con Epstein lo zozzone son veri di sicuro lei non lo dice, si marmorizza in generale quando si accenna alla Casa reale. Del resto lei è ambasciatrice due volte, pure per la Croce Rossa britannica, di cui il principe Carlo è presidente. “Ah, io sono assolutamente carlista, è così sottovalutato”. In questo è proprio l’anti Diana. Lo vede spesso, “nella sua tenuta a Highgrove, ricordo una cena, eravamo pochissimi, una ventina, naturalmente parto da casa e dietro mi inseguono tutti i fotografi, e arrivo alla proprietà e Camilla mi fa: ‘Avevo capito che eri tu, dal numero dei paparazzi’. ‘Come si può vivere così?’, fa invece Carlo, con sottile umorismo”, a questa Diana del Tavoliere. “Io poi ero arrivata con un vestito di chiffon verde, tacco sedici, e finisco nel fango della campagna. Ma per rimanere a testa alta anche nel fango col tacco sedici ci vuole un certo talento, non trovi?”.