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Il populismo è “la politica dell'intestino”. Intervista a Catherine Fieschi

Micol Flammini

Egocentrici e fintamente autentici, studiare i populisti per batterli. Un libro spiega come. Parla l'autrice

Roma. Con il telefono a pochi centimetri di distanza dal viso, con il faccione talmente grande che sembra non entrare nello schermo e con ogni difetto amplificato dalla vicinanza, eccessiva, la diretta Facebook è diventata lo strumento principale di comunicazione dei populisti. E quella noncuranza del difetto, anzi, l’esagerazione del difetto stesso, è parte del successo, è il difetto che dice all’elettore “guarda, io sono come te”. Quando si parla di populismo, si perde spesso la lucidità, eppure, rimanere ragionevoli, ci dice Catherine Fieschi, non sarebbe così difficile perché il populismo è uno degli “ismi” più fallibili, i populisti si limitano da soli – basta guardare Marine Le Pen che mai è stata in grado di capitalizzare il suo consenso – ma vanno studiati e osservati con attenzione prima che le democrazie europee si incaglino del tutto in quella che l’analista britannica e direttrice di Counterpoint chiama “la politica dell’intestino”. Per studiarli meglio Catherine Fieschi ha scritto “Populocracy. The Tyranny of Authenticity and the Rise of Populism“, un libro in cui spiega come il populismo abbia ormai determinato la trasformazione della politica in populocrazia. “Uso la parola populocrazia – spiega al Foglio l’analista britannica di origini italiane – perché credo che viviamo in un momento in cui non esistono più soltanto i partiti populisti, ma il populismo è diventato la variante che muove e determina le dinamiche politiche”, partiti antiestablishment e partiti tradizionali, destre e sinistre. Ma non è soltanto la politica a essere cambiata, anche gli elettori lo sono e adesso vogliono sentirsi così: sempre, profondamente e velocemente compresi. “I populisti amano mostrarsi raggiungibili, rintracciabili e autentici e agli elettori piace il senso di comunanza”, c’è anche una fisicità del populismo che sta tutta nel difetto ed è proprio il difetto, che ormai è entrato con prepotenza in politica, a garanzia di autenticità e umanità. “Ad esempio, al politico populista non interessa essere scoperto quando mente, anzi mentire è dimostrazione di autenticità, di umanità da parte di un politico”, spiega Fieschi. “Il populista vuole dimostrare di essere come l’elettore per potergli dire: io ti capisco, io sono soltanto un essere umano, come te”. Semplicità, trasparenza e illusione di autenticità, attraverso questi tre fattori il populismo ha cercato di annullare la differenza tra politico ed elettore.

 

Ogni nazione ha il suo populismo, ogni società ha cambiato la politica nazionale a modo suo e anche per questo i leader populisti non possono essere tutti uguali. Non esiste una massa informe populista, Marine Le Pen, per Catherine Fieschi che nel libro racconta anche un incontro con la leader dell’attuale Front National nel 1990, è diversa da Matteo Salvini. “Le Pen è l’erede di suo padre, ha lavorato per fare del suo partito il principale partito di opposizione, vorrebbe presentarsi come una forza politica normalizzata nel momento in cui i partiti tradizionali in Francia sono caduti uno dopo l’altro. Matteo Salvini invece è molto più ambizioso. Vuole divorare tutto quello che ha attorno, vorrebbe divorare Forza Italia ad esempio, e poi, rispetto a Le Pen, lui sì che ha ambizioni europee”. “I populisti sono tutti diversi tra di loro, ma non è corretto parlare di diverse tipologie di populismi – spiega l’analista britannica – tutti, in Italia, in Francia, in Gran Bretagna, sono prodotti di un sistema democratico. Se bisogna fare una distinzione è tra i populismi nati da democrazie mature e quelli nati da democrazie che ancora non lo erano”, la differenza tra populismi dell’ovest e quelli dell’est.

 

La capacità delle dinamiche populiste di risultare attraenti ha prodotto la populocrazia e l’ossessione da parte della politica di parlare con una voce sola. 

 

In “Populocracy. The Tyranny of Authenticity and the Rise of Populism“, Catherine Fieschi definisce la Brexit “la fantasia populista assoluta”. “E’ stata la tempesta perfetta in cui tutte le persone che si sentivano escluse a livello economico, culturale o anche regionale, chiunque provasse un senso di umiliazione – termine abusato dai populisti – ha pensato di avere l’occasione di farsi sentire dicendo: leave!”. La Brexit, prima che si chiamasse Brexit, non è stata soltanto un prodotto dei social media. A prepararla, a farla pregustare agli elettori, a sussurrarla, sono stati i tabloid. “I tabloid britannici sono sempre stati anti Europa, anti élite, anti cosmopolitismo e hanno così preparato negli anni il terreno per la Brexit. Tutti si sono focalizzati sulla responsabilità dei social, ma nell’anomalia assoluta della fantasia della Brexit, sessant’anni di tabloid hanno fatto più di Facebook e Twitter”.

 

Arginare i populisti, secondo Catherine Fieschi, non è facile (quasi impossibile) al momento, il problema non è il populismo del populista, ma il populismo che ormai vive in tutta la politica europea o internazionale. Il fenomeno ha molti limiti, ad esempio la capacità che i populisti hanno di non concretizzare i loro successi elettorali come sta accadendo a Marine Le Pen, scomparsa dalla scena francese ed europea. Poi c’è l’impossibilità di coalizzarsi, in Italia l’esperimento lodato dall’ex stratega di Donald Trump Steve Bannon, il governo populista bicolore e bifronte, è fallito. “Riuscite a immaginare Donald Trump disposto a cedere parte della presidenza degli Stati Uniti d’America? Non lo farebbe mai, così la pensano tutti i populisti e per questo un’alleanza populista nasce già come una creatura fragile”. C’è anche una sfumatura caratteriale che esclude ogni possibilità di associazione: “I populisti sono tutti egocentrici – ci dice Fieschi ridendo – e gli egocentrici non possono di certo convivere tra di loro”. Per sconfiggere il populismo nelle urne bisogna studiare i dati, “i dati dicono tutto e viviamo in un’èra piena di dati che sono in grado di raccontare qualsiasi cosa, qualsiasi malessere”, dice Fieschi. “La soluzione probabilmente sarà oltre le dinamiche tra conservatori e liberali, probabilmente non saranno questi partiti a sconfiggere il populismo. Bisogna fermarsi e pensare: cosa offre il populista? Il populista che dice all’elettore che lui può capirlo, è interessante, va sfruttato”. La formula per vincere i populisti nelle urne sta nella capacità di offrire soluzioni agli elettori: “ I populisti sono bravi a riconoscere i problemi e anche a fomentarli ma non a risolverli. L’offerta politica di chi si oppone al populismo deve essere questa: la capacità di trovare una soluzione”.