Milano, inaugurazione in Piazza Duomo dell'installazione per il Fuorisalone Up 5&6 di Gaetano Pesce (foto LaPresse)

Quindici anni di Fuorisalone.it

Maurizio Baruffaldi

Da lunedì 8 aprile a domenica 14 le strade di Milano germogliano, e anche se del design te ne frega poco non puoi mancare: "Si creano esperienze”. Chiacchierata con Cristian Confalonieri, uno dei due creatori della guida alla Milano Design Week

La primavera a Milano sboccia ufficialmente durante la settimana dedicata al design. Da lunedì 8 aprile a domenica 14 le strade di Milano germoglieranno, e anche se del design te ne frega poco non puoi mancare, il richiamo è un boato, ti costringe ad alzarti dal divano e uscire. E per avere almeno una strategia di movimento, in questa invasione, devi farti prendere per mano dalla pagina del Fuorisalone.it. Quella che è diventata la guida ufficiale della Milano Design Week, in apertura ti inchioda con i numeri: 7 giorni, 1.213 eventi, 20 percorsi. E la piattaforma oggi compie 15 anni, da quell'intuizione originaria di Cristian Confalonieri e Paolo Casati, direttori creativi di Studiolabo, agenzia milanese che si occupa di design della comunicazione. Prendiamo l'anniversario come spunto per parlare con Cristian Confalonieri di questa esperienza che ha segnato l'identità stessa di Milano.

 

Partiamo dalle origini.

Quello che chiamiamo Fuorisalone nasce formalmente negli anni Settanta. Alcune aziende importanti del settore iniziano a rifiutare le imposizioni di forma del Salone del Mobile e invitano i loro clienti direttamente: mostrano quello che vogliono, non necessariamente il prodotto nuovo, si inventano un modo per intrattenerli. L'obiettivo è sempre vendere, l'intenzione è sempre lo spot, ma con la fisicità, il tema e il luogo.

 

Poi arriva la vostra piattaforma.

Siamo degli studenti del Politecnico, è il 2002, il computer è ormai diffuso, allora cerchiamo online: cosa c'è domani al Fuorisalone? Non troviamo niente. Dovevi per forza consultare la guida cartacea. Gli editori non si erano posti il problema del digitale e avevano lasciato il dominio incustodito. Uno di noi prende la carta di credito e se lo compra: fuorisalone.it. All'inizio è una sorta di blog, una cosa amatoriale, ma con il potere dei dati, gli unici ad averli. Sapevamo in tempo reale dove fossero o si spostassero gli eventi. La guida cartacea andava in stampa a marzo e poi lì restava. Noi eravamo l'innovazione. Che nasce sempre dal piccolo. E inaspettata.

 

Allestimento per il Fuorisalone all'Università La Statale di Milano


 

Il sito è una piattaforma open.

Gli eventi si caricano da soli e noi facciamo da supervisore. È una cosa che tutti ci invidiano ma che nessuno copia, perché la spontaneità non si può copiare. E nemmeno comprare. Il Salone del Mobile è il più importante del mondo, e senza il Salone non ci può essere il Fuorisalone. E Milano è il luogo, perché è la capitale del design. Qui c'è sempre stata l'intera 'filiera': chi lo pensava, lo produceva, lo comunicava, lo vendeva, lo comprava. La crisi del design è semplice: manca la clientela. Il ceto medio va all'Ikea, i grandi ricchi non stanno in Italia. Sono americani, russi, arabi. I cinesi stanno imparando a capirlo. 

  

Milano è imprescindibile.

Milano è piccola, è grande come un quartiere di Pechino, è una metropoli solo a livello concettuale, ma questa è la sua forza. Qui puoi dire che tutta la città si riempie di design. E poi c'è la sua grande generosità. Come già detto, solo a Milano potrebbe resistere un esperienza spontanea e libera come quella del Fuorisalone. O come Piano City, o Book City, tutti modelli poco sostenibili economicamente, ma modelli che diventano il suo spirito. Uno spirito che si incarna in tutti quelli che ci vivono. E non parlo solo di milanesi di nascita, che sono un assoluta minoranza. C'è qualcosa di diverso a Milano. Che sa accogliere, assecondare, guidare.

  

La gestione del sito. Le richieste più assurde.

In tutta questo spontaneità ti rendi conto che esiste un ruolo sociale. Arrivano telefonate del tipo: Dove posso parcheggiare? C'è un asilo per lasciare il bambino? Al dunque, il clima è da festa paesana. Il linguaggio pop di questa settimana arriva a chiunque. Mentre per il Salone del Mobile hai un biglietto, il concetto di Fiera, e devi pure capirci qualcosa, il Fuorisalone ti senti in diritto di criticarlo perché ti viene addosso. Non serve essere esperti di nulla. Non c'è barriera. Poi c'è chi lo odia perché non trova parcheggio. Chi lo ama perché c'è tanta gente.

 

Più che sul prodotto, questo amore/odio si concentra sull'invasione.

Le critiche sul prodotto però ci sono: le più grosse sono sulla qualità, che si dice abbassata. E vengono sia dall'uomo della strada che dai grandi magazine del settore. Io prima ci pensavo, mi facevo domande, ma oggi la questione l'ho risolta: a queste persone rispondo che nel momento in cui sposi libertà e spontaneità, la qualità non è più un metro di giudizio.

 

    

Ma c'è un criterio per dire: questa cosa è da Fuorisalone?

Un evento su cinque, così a spanne, è da Fuorisalone. La punta è Cartier che occupa l'Arco della Pace, per farti un esempio. Ma vale pure l'azienda che non c'entra nulla col design, che però si inventa un'installazione, come la Panasonic l'anno scorso: una bolla dentro l'Accademia di Brera. Entravi in questa palla dove venivano spruzzati fumi e luci. Si creano esperienze, in questo caso sensoriali. Ma qui servono tanti soldi. Tutti gli altri eventi, quelli un po' 'imbucati', possono comunque piacere. E creano l'evento.

  

E poi c'è il sacro indotto.

Ristoratori e alberghi, su tutti. Abbiamo però ripulito dai paninari improvvisati, quelli tipo salamelle. Il Comune ha legiferato per vietarli, così come è vietato il volantinaggio, o qualsiasi altra bancarella. Era necessario. Non si può aggiungere caos alla spontaneità. La speculazione alla lunga indebolisce questo grande evento che ne contiene 1200. Già ci sono gli affitti che esplodono, anche degli spazi offerti agli espositori. C'è gente che se ne va in vacanza quella settimana per affittare l'appartamento.

  

Perché fai quello che fai? Dove nasce l'attrazione?

Io non so fare niente con le mani. Non ho mai fatto niente, di manuale. Ho sempre agito con tutto ciò che era mediato da un monitor. Siti web, programmazione, codici, mi sono accorto subito di essere veloce a capire e imparare questi linguaggi. Per me è naturale stare attaccatto a un monitor. E in ogni esperienza arrivo fin dove posso, quindi abbandono e cambio ossessione. Mi costringo a mettermi alla prova. Ora sono alla fase game designer.

  

Da questa nuova immersione nasce il gioco da tavola del Fuorisalone: the board game of Milano design week.

In questo caso non c'è più un monitor che medita, ma pensare un gioco e programmare un computer sono la stessa cosa. E il design è anche dove non te lo aspetti. Ci siamo detti: Cosa fare di questi quindici anni compiuti? E abbiamo riprodotto in un gioco in scatola l'esperienza che le persone vivono durante il Fuorisalone. Quell'ansia di non riuscire a vedere tutto. Detto in modo molto ma molto basico, devi vedere più eventi possibili, e si fanno punti di conseguenza. Abbiamo un partner, in questo caso la Cranio Creation, come sempre, perché non siamo quelli che pensano di saper fa tutto. Fa parte del nostro progetto annuale, quello che non ha previsione di guadagno. Il gioco, in tutti in sensi.

  

Tre anni fa vi siete inventati anche il Brera Design Days, che si svolge a ottobre.

Non c'era un momento così. Sono incontri senza niente di spettacolare, non c'è nulla da vedere. Solo chiacchere. Intelligenza artificiale, design thinking, grafica. Profondamente impalpabile.

  

Tornando a quello che si palpa. Il materiale che ha rivoluzionato il design è la plastica. Il prossimo quale sarà?

Le nanotecnologie, dei materiali che si riformano da soli. Tipo il fenix, che lo incidi, e se poi lo scaldi con un ferro da stiro si riforma, si chiude il taglio. O quei rivestimenti e ceramiche che in base alla luce cambiano colore. Materiali vivi. Una specie di pelle. Che entrano in relazione con l'ambiente. A differenza della plastica, isolata dal contesto. Sono la parte solida che si affianca all'intelligenza artificiale, che cambia il tuo modo di interagire con il mondo.

   

Per i profani, che associano la parola all'oggetto che sintetizza funzionalità ed estetica: come si coniuga il design a un forma astratta come la comunicazione?

Il design è soprattutto progettazione. Processo produttivo, non prodotto finale. La facoltà universitaria infatti prima si chiamava Disegno Industriale: disegno pensato per una produzione industriale. Il design non scappa dalla produzione in serie. È un modo di pensare. Il designer non vuole semplificare, che significare togliere; fa un progetto della complessità, che deve però relazionarsi in maniera semplice. La lampada che ti fai con le tue mani non è design, l'oggetto è figlio dell'artigiano, o dell'artista, ruoli che poi si confondono e si rubano la scena. Non c'entra nemmeno con lo stilista, come viene facile associare. La moda passa, il design è per sempre.

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