Cattivissimi noi. Così l'Italia è diventata preda del “sovranismo psichico”

Per il 52° Rapporto del Censis la delusione per la ripresa e per un cambiamento che non ci sono ha incattivito gli italiani

È un'Italia cattiva, sempre più cattiva. Se nel 2017 la parola chiave del Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese era stato il rancore, quella del 2018 è cattiveria. Radice di quello che l'istituto di ricerca chiama “sovranismo psichico”. Insomma è come se il nostro paese vivesse all'interno di una spirale, incapace di uscirne e in un perenne avvitamento su se stesso.

 

“La delusione per lo sfiorire della ripresa - scrive il Censis - e per l'atteso cambiamento miracoloso ha incattivito gli italiani” La cattiveria è diventata “la leva cinica di un presunto riscatto e si dispiega in una conflittualità latente, individualizzata, pulviscolare”.  

 

Giusto alcuni giorni fa, l'istituto di sondaggi Swg, aveva diffuso una rilevazione in cui metteva in evidenza come, tra gli intervistati, le “emozioni prevalenti” fossero attesa (34 per cento), disgusto, tristezza e rabbia (tutte al 30 per cento). Per il Censis l'attesa è stata ampiamente delusa: “Il processo strutturale chiave dell'attuale situazione è l'assenza di prospettive di crescita, individuali e collettive”. Ecco perché oggi, sembra prevalere un atteggiamento che “talvolta assume i profili paranoici della caccia al capro espiatorio”.

 

I numeri, anche nel confronto con gli altri paesi europei, sono impietosi: abbiamo “la più bassa quota di cittadini che affermano di aver raggiunto una condizione socio-economica migliore di quella dei genitori” (il 23 per cento contro una media Ue del 30); “l'89 per cento delle persone con un basso reddito sono convinte he resteranno nella loro condizione attuale”; “il 56,3 per cento dichiara che non è vero che le cose nel nostro Paese hanno iniziato a cambiare veramente”; “il 63,6 per cento è convinto che nessuno ne difende interessi e identità”.

 

Rassegnati, sfiduciati, privi di prospettive gli italiani sfogano la propria rabbia nei confronti degli altri. Un “mostro” che cresce dentro fino a tradursi in “pregiudizi incofessabili”: il 69,7 per cento non vorrebbe come propri vicini di casa i rom, il 69,4 per cento persone con dipendenze da droga e alcol, il 52 per cento convinto che si fa di più per gli immigrati che per gli italiani. 

 

Il potere d'acquisto delle famiglie

Rispetto al 2008, anno in cui convenzionalmente viene fatta iniziare la grande crisi economica, il potere d'acquisto delle famiglie è ancora inferiore del 6,3 per cento in termini reali. Ma soprattutto, sottolinea il Rapporto, “i soldi restano fermi”: “Nel 2017 si è registrato un +12,5 per cento in termini reali del valore della liquidità” rispetto a dieci anni fa. Non solo, si è allargata anche la forbice dei consumi: nel triennio 2014-2017 le famiglie operaie hanno registrato un -1,8 per cento in termini reali della spesa per consumi, mentre quelle degli imprenditori un +6,6 per cento.

 

Senza più santi né eroi

Vasco Rossi negli anni '80: “Generazione di sconvolti, che non ha più santi né eroi”. Non poteva certo immaginare che quel grido di ribellione potesse diventare puro e semplice conformismo. La nostra società scrive il Censis, è “senza più miti, né eroi”. 

 

Oggi il 78,4% degli italiani utilizza internet, il 73,8% gli smartphone con connessioni mobili e il 72,5% i social network. I consumi complessivi delle famiglie non sono ancora tornati ai livelli pre-crisi, ma la spesa per i telefoni è più che triplicata nel decennio (+221,6%): nell'ultimo anno si sono spesi 23,7 miliardi di euro per cellulari, servizi di telefonia e traffico dati. E a farla da padrone è ovviamente il “soggettivismo”, l'idea che in un'èra in cui uno vale un divo, siamo tutti divi. La metà della popolazione (il 49,5%) è convinta che oggi chiunque possa diventare famoso (il dato sale al 53,3% tra i giovani di 18-34 anni). Un terzo (il 30,2%) ritiene che la popolarità sui social network sia un ingrediente “fondamentale” per poter essere una celebrità, come se si trattasse di talento o di competenze acquisite con lo studio (il dato sale al 41,6% tra i giovani). Ma, allo stesso tempo, un quarto degli italiani (il 24,6%) afferma che oggi i divi semplicemente non esistono più. In più, il 41,8% crede di poter trovare su internet le risposte a tutte le domande (il 52,3% tra i giovani).

 

Il problema del lavoro

La principale questione, stando ai dati raccolti nel Rapporto Censis, è quella del lavoro. A cominciare dal salario medio annuo che, tra il 2000 e il 207, è aumentato solo dell'1,4 per cento in termini reali (poco più di 400 euro annui). Nello stesso periodo in Germania l'incremento è stato del 13,6% e in Francia del 20,4. Inoltre, negli ultimi 10 anni, gli occupati con età compresa tra 25 e 34 anni si sono ridotti del 27,3%, cioè oltre un milione e mezzo di giovani lavoratori in meno. “In dieci anni - scrive il Censis - siamo passati da un rapporto di 236 giovani occupati ogni 100 anziani a 99. Mentre nel segmento più istruito i 249 giovani laureati occupati ogni 100 lavoratori anziani del 2007 sono diventati appena 143. A rendere ancora più critica la situazione è la presenza di giovani in condizione di sottoccupazione, che nel 2017 ha caratterizzato il lavoro di 237.000 persone di 15-34 anni: un valore raddoppiato nell'arco di soli sei anni. Così come è aumentato sensibilmente il numero di giovani costretti a lavorare part time pur non avendolo scelto: 650.000 nel 2017, ovvero 150.000 in più rispetto al 2011”.

 

Meno matrimoni, più divorzi

Altro elemento critico della nostra “società cattiva” è quello che riguarda le relazioni affettive stabili. Ci si sposa sempre di meno e ci si lascia sempre di più. Dal 2006 al 2016 i matrimoni sono diminuiti del 17,4%. A diminuire sono soprattutto gli sposalizi religiosi (-33,6%), mentre quelli civili sono aumentati del 14,1%, fino a rappresentare il 46,9% del totale. Le separazioni sono aumentate dalle 80.407 del 2006 alle 91.706 del 2015 (+14%), mentre i divorzi sono letteralmente raddoppiati, passando dai 49.534 del 2006 ai 99.071 del 2016 (+100%). Cresce la “singletudine”: le persone sole non vedove sono aumentate de 50,3% dal 2007 al 2017 e oggi sono poco più di 5 milioni. 

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