Michael Avenatti (foto LaPresse)

Avenatti difende le donne da Trump e viene arrestato per le botte a una donna

Simonetta Sciandivasci

L’avvocato, star della difesa femminile, non è più un eroe

Roma. L’avvocato di Stephanie Clifford, in arte Stormy Daniels, Michael Avenatti, è stato arrestato mercoledì pomeriggio a Los Angeles: avrebbe picchiato la sua ex moglie tanto da lasciarle il viso tumefatto. Una notte in prigione e 50 mila dollari di cauzione dopo, è tornato a casa. Si dichiara innocente. Stormy Daniels, lo ricorderete, è la ex pornostar che ha accusato Donald Trump di averla pagata 130 mila dollari, nel 2016, per tacere su una loro presunta relazione clandestina (una vecchia storia di più di dieci anni fa). Aveva dato la notizia, a gennaio scorso, il Wall Street Journal e l’allora avvocato personale di Trump, Michael Cohen, aveva risposto, a caldo, che si trattava di pettegolezzi infondati. Trump aveva parlato di truffa e Clifford, tramite Avenatti, gli aveva immediatamente fatto causa per diffamazione.

 

Sebbene fossimo freschi di #metoo e il curriculum di Trump fosse zeppo di storie simili, non ci eravamo scaldati molto (almeno da questa parte dell’oceano). Poco più di un mese fa, un giudice di Los Angeles ha respinto le accuse di Clifford, sostenendo che le parole di Trump siano state certamente colorite e inopportune, ma non sanzionabili (non in un paese libero e democratico, quantomeno), e ha condannato l’attrice al pagamento delle spese legali del processo. Della costumata reazione del presidente degli Stati Uniti c’è traccia, naturalmente, su Twitter, dove Trump era corso a scrivere, gaudente, che finalmente avrebbe potuto rivalersi su “Faccia da cavallo e il suo avvocato di quart’ordine”. La causa sull’accordo di non divulgazione delle relazione sentimentale tra Trump e Clifford, invece, è ancora in piedi. E chi lo sa che fine farà quel contenzioso così rilevante, dall’altra parte dell’oceano, ora che Avenatti è accusato del crimine più odioso, in questo momento, in occidente.

 

Proprio lui che, accidenti, nell’ultimo anno, cioè da quando ha preso l’incarico di legale di Stormy Daniels, è sempre stato sollecito e attivo e combattivo sui diritti delle donne, denunciatore della violenza su di loro, oltre che un antitrumpiano di tutto rispetto, con le carte talmente in regola da essere stato persino nominato tra i possibili candidati democratici alle primarie delle prossime presidenziali.

 

E’ un ribaltamento tragico e salato, un classico colpo di scena di quelli che ci fanno dire che il male e il bene sono sempre mescolati e che non ci si può fidare di nessuno e che negli armadi dei più accaniti eroi si nascondono sempre gli scheletri più grandi. Ma sarà che c’è di mezzo un avvocato. Bruno Cavallone, avvocato e letterato, ha detto in una vecchia intervista: “Vittoria e sconfitta nell’ambito del civile non sono mai totali, non c’è la vittoria trionfale e neppure la sconfitta tragica”. Vale anche per questo finale di partita, sebbene non attenga al civile (ce ne saranno altre, naturalmente, di partite, siamo solo all’inizio: la colpevolezza di Avenatti è ancora tutta da dimostrare e il #metoo s’è fatto più cauto, ultimamente). E’ successo qualcosa di assai simile diverse volte negli ultimi mesi (è finito accusato di molestie anche Justin Trudeau, il primo ministro canadese, primo della storia a dichiararsi femminista e a invitare tutti i maschi a diventarlo).

 

Qualcuno, negli Stati Uniti, ha parlato di “crudele ironia”, riferendosi a come la vicenda Avenatti possa essere letta come goduriosa vendetta (al bar la chiameremmo karma pesante) in favore di Brett Kavanaugh, nominato giudice della Corte Suprema americana dopo giorni di accuse e deposizioni contro di lui per molestie sessuali e stupri (Christine Blasey Ford ha reso la sua testimonianza davanti alla Commissione Giustizia del Senato, il mese scorso). La prima moglie di Avenatti, madre delle sue due figlie, è intervenuta per difenderlo, a sostegno di quanto lui ha dichiarato e reso noto tramite il suo ufficio legale: non sono mai stato un uomo violento, amo le donne, non mi lascerò intimidire, sono un uomo di cui le proprie figlie potranno sempre andare fiere. Lo stanno incastrando? E’ una trama da “House of Cards” (quando era “House of Cards” e cioè la politica americana, prima che facessero fuori Kevin Spacey e molto della sceneggiatura si perdesse in troppi “a un uomo lo avrebbe mai detto?”).

 

Il tempismo urla complotto e fato greco, molto più che nel caso di Anthony Weiner, che la carriera di brillante democratico se l’è fatta scippare dal vizio di mandare foto sconce alle minorenni (e sta scontando la sua pena in carcere, buono buono, tanto che uscirà prima del previsto). Ieri il Guardian dava notizia di un aumento impressionante delle violenze domestiche, in Inghilterra e a Londra in particolare, evidenziando la poca attenzione dei media sul tema. Tra pochi giorni verrà trasmesso il documentario della A&E “The Clinton Affair”, in cui Monica Lewinsky racconta di aver pensato al suicidio dopo la relazione con l’ex presidente.

Il clima, lo abbiamo imparato nell’ultimo anno, conta tanto nel condizionare i dibattimenti giuridici, quanto nell’istruire le accuse. In questo caso, però, c’è una signora con la faccia parecchio tumefatta e la polizia, giustamente, lo sottolinea.

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