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Come rovinarsi le vacanze pensando alla storia e al futuro

Guido Vitiello

Perché viviamo nella paranoia fluida molto più che nella post-ideologia

I libri scovati nel piccolo emporio a pochi passi dalla spiaggia, nell’espositore rotante tra i palloni insaccati e gli olii abbronzanti, o su una bancarella di una città dove vai a zonzo per qualche giorno di vacanza, comprati senza premeditazione e divorati sul posto, scordandoti di quelli che dopo lunghe selezioni e dolorose esclusioni avevi messo in valigia: esistono letture più libere, più divaganti, più ispirate? Ma se il cuore ti pesa, anche quegli imprevisti compagni di vagabondaggio, scantonando per vicoli, ti riportano fatalmente dove non vorresti.

 

A Parigi, da un bouquiniste, ho preso due libri. Il primo, “Psychopolitique”, lo ha scritto nel 2010 il neuropsichiatra Jean-Michel Oughourlian. Era amico e sodale di René Girard – gli fece da spalla socratica in “Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo” – e qui prova a rileggere le teorie girardiane a lume di Carl Schmitt per applicarle alla politica contemporanea. Dice che la funzione del politico, la fonte della sua legittimità, è da sempre la designazione di capri espiatori. Ma il presente non ne offre di credibili e di durevoli. Sono secondi i casi troppo astratti, lontani, pretestuosi, impersonali, consumati dall’uso: la finanza, l’immigrazione, la crisi climatica, il terrorismo, le banche, il neoliberismo. Le convulsioni della politica dalla fine della Guerra fredda, suggerisce Oughourlian, si devono a questo: per quanto si affanni, non trova vittime sacrificali su cui rifondarsi. Come vedete, i miei pensieri non potevano restarsene troppo a lungo in vacanza. Perché la storia italiana dell’ultimo quarto di secolo è appunto un succedersi di crisi sacrificali. La lapidazione del cinghiale a colpi di monetine avrebbe dovuto fondare la Seconda repubblica; il secondo cinghiale, quello maremmano, provò a rilegittimare la politica sacrificando “qualche poltrona” senatoriale, ma la cosa non poteva funzionare: doveva scorrere molto più sangue. E quel 4 dicembre il re scoprì – paradosso tutto frazeriano – di essere lui stesso la vittima designata dell’immolazione.

 

Salvini ha il suo gregge ordinato di capri espiatori – immigrati, rom, radical chic, euro, Soros – mentre i Cinquestelle sembrano avere solo una sete inesausta di immolazione, che non riesce a concentrarsi su una vittima. Il loro capro prediletto, il Pd, è già stato sgozzato, e in mancanza di meglio i grillini e i loro sacerdoti giornalistici continuano a cavarne tutto il sangue che possono. Non potrà durare a lungo. Ma fuori da quella ossessione, non hanno che la nebulosa delle loro paranoie.

 

E qui veniamo al secondo libro, che mi ha attirato più che altro per il titolo, già che l’autore, il neomarxista Fredric Jameson, non è mai stato nelle mie corde: “La totalité comme complot” (è in realtà il primo capitolo, pubblicato a parte, di un libro del 1992). Il motivo del complotto sarebbe dunque un tentativo degradato di pensare il mondo contemporaneo come totalità sensata. Jameson parla soprattutto di cinema, e di thriller fantapolitici americani, ma di nuovo – addio vacanze – mi sono ritrovato nel thriller fantapolitico vivente che mi attende appena atterrato a Roma.

 

Ho il sospetto che, oltre una certa soglia di complessità e di sovraccarico informativo, la paranoia sia la prima scorciatoia che il cervello imbocca per dare coerenza al mondo in cui vive. Lo “stile paranoide”, in altri termini, non sarebbe una stravaganza marginale ma una sorta di necessità sistemica. Ed è quasi superfluo dire che teoria del complotto e designazione del capro espiatorio sono una cosa sola. Le grandi ideologie novecentesche erano paranoia “cristallizzata”, per dirla con metafora stendhaliana (fatemi fare il parigino ancora per qualche ora): avevano i loro capri espiatori fissi, una sceneggiatura avvincente e un’intima coerenza narrativa. La stagione che viviamo non è post-ideologica, è semmai la stagione della paranoia tornata allo stato fluido; e anche in questo il M5S potrebbe rivelarsi un’avanguardia: un partito di massa che sposa tutte le teorie del complotto, anche quelle che si elidono a vicenda, e scatena la propria potenza squadrista contro obiettivi variabili di ora in ora. E’ difficile che su queste basi si possa edificare alcunché di solido. Ma si può spianare il terreno per fondazioni future, a cui non ho voglia di pensare per non guastarmi questo scampolo di vacanza. Stasera atterro a Roma e, prometto, leggo solo Topolino.

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