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In epoca di #MeToo, il maschio occidentale è ormai un “astro morto”

Mauro Zanon

Un saggio di Laetitia Strauch-Bonart sugli uomini “obsoleti”

Parigi. Le femministe francesi, da ieri, hanno una nuova nemica: si chiama Laetitia Strauch-Bonart, è un’intellettuale parigina innamorata del liberalismo anglosassone e ha appena pubblicato un saggio che prende in contropiede una serie di teorie dominanti sul rapporto tra uomini e donne, sulle diseguaglianze e i progressi dell’uno e dell’altro sesso, “Les hommes sont-ils obsolètes?”, “Gli uomini sono obsoleti?”, edito da Fayard. La tesi esposta in questo libro, controcorrente e squisitamente provocatorio, è che l’uomo occidentale è colpito da un’obsolescenza programmata, che il tasso di occupazione e di attività degli uomini, maggioritari nei settori devastati dalla crisi del lavoro, continua a scendere a differenza delle donne, che invece sono le grandi vincitrici della terziarizzazione delle nostre economie.

 

Ma come si può affermare che questi uomini che firmano 18 film su 21 al Festival di Cannes e il cui salario è in media più alto del 42 per cento rispetto alle loro colleghe registe sono obsoleti? Perché utilizzare l’aggettivo “dépassés”, superati, quando l’85 per cento degli scranni nei comitati esecutivi delle grandi imprese della Borsa di Parigi è occupato da persone di sesso maschile? E alla luce di quanto osservato dal geografo Yves Rebaud nel suo “La ville faite par et pour les hommes”, “La città costruita dagli uomini e per gli uomini”, volume che analizza il dominio dello spazio urbano da parte degli uomini, ha senso parlare di obsolescenza maschile? Guardando le cifre e le statistiche con cui Laetitia Strauch-Bonart arricchisce questo saggio, verrebbe da dire di sì.

 

Dal 1975 a oggi, il tasso di attività degli uomini tra i 15 e i 64 anni è sceso dall’84 al 76 per cento, mentre quello delle donne è salito dal 53 al 68 (numeri dell’Insee, l’Istat francese). La percentuale di disoccupazione che nel 1985 era al 10,2 per cento per le donne, oggi è all’8,8. Per gli uomini, invece, da 7,3 è salita fino a quota 8,3. Strauch-Bonart non nega che esistano numerosi settori dove le diseguaglianze sono insopportabili e il più delle volte a sfavore delle donne. Ma a differenza di altri studiosi, si sforza di disegnare le prospettive a lungo termine di questa “nuova rivoluzione femminile”, come la chiama, che le femministe fanno finta di non vedere. Le proiezioni del Cor, il Consiglio di orientamento delle pensioni, indica che nel 2070 si sfiorerà l’uguaglianza perfetta nel rapporto tra le pensioni delle donne e quelli degli uomini, e secondo i dati Insee, negli ultimi trent’anni, il numero di dirigenti donne si è moltiplicato per 3,5 nella popolazione attiva. In occidente, secondo Strauch-Bonart, le donne hanno acquisito una posizione senza precedenti. E contrariamente al discorso dominante, sono gli uomini, occidentali anzitutto, ad essere protagonisti di un lento declino: a livello scolastico, superati dai risultati delle donne in particolare nelle materie scientifiche, nella sfera privata, dove l’uomo non è più “necessario” per procreare grazie alle nuove tecniche (Procreazione medicalmente assistita), e nel lavoro, in particolare nel florido settore terziario, dove le donne sono più preparate e competenti per capacità relazionali, di comunicazione e di marketing. Un rapporto citato dall’autrice indica che nel 2022 i cinque mestieri più richiesti saranno fortemente femminilizzati.

 

Ecco, ma allora, gli uomini sono vittime della “femminilizzazione” del mondo o soltanto nostalgici di un privilegio maschile appartenente a un’epoca ormai remota e che non tornerà più? Strauch-Bonart, unendo sociologia quantitativa, molta economia e un pizzico di neuroscienze, ci invita ad esplorare questa “catastrofe silenziosa” alla quale assistiamo passivi. Una catastrofe, scrive il Point dedicando a Strauch-Bonart la copertina, dove gli uomini appaiono un po’ come degli “astri morti”, che “brillano ancora”, sono ancora “in maggioranza nei posti dirigenziali”, ma sono già “inadatti alla società essenzialmente verbale e pacifica che va disegnandosi”. E gli ultimi dieci mesi, tra l’affaire Weinstein e l’ondata #Metoo, sono stati forse i più duri della loro recente esistenza.

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