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L'impossibile sfida delle Sorelle Parodia contro il popolo berlusconiano

Maurizio Crippa

Ragioni politiche e antropologiche del disastro domenicale Rai

La durata media della vita della popolazione televisiva domenicale fa più paura delle statistiche nazionali, quelle che spaventano Tito Boeri. Ogni anno il target s’allunga, resiste agli struffoli e al pasticcio di maccheroni del pranzo della festa, e all’Ora X si piazza lì, al piccolo schermo. Solo qualche scheggia scriteriata sfida la mezz’ora di Lucia Annunziata, mariti molesti e figli sdraiati già stanno sul calcio, ma sull’altro apparecchio. Loro, lì. E maledetto sia l’architetto di palinsesti, il produttore di format o il capostruttura di rete illuso che il pubblico della domenica pomeriggio sia bue e non distingua il vero dal falso, l’originale dalle Sorelle Parodia. Vuoi ingannare la tele-massaia con un prodotto contraffatto? Con il tele-salotto all’olio di palma? Il patatrac è fatto. Domenica scorsa le Sorelle Parodia sono scese al 9,3 di share (1.523.000 telespettatori) come dire la Catastrofe Cosmica di Raiuno. Contro “Domenica Live” su Canale 5 che decollava incontenibile come un missile nordcoreano dal 12,2 al 21 per cento di ascolti.

 

Povera la Rai di Marione Orfeo. Ma non è manco questione di capirne di tv: basterebbe capire l’Italia. Il pubblico della domenica pomeriggio fu in un tempo preistorico democristiano, pippobaudiano. Da alcuni decenni è berlusconiano, punto e basta. Fino a quando “Domenica in” ha fatto “Domenica in” tutto è andato bene. Quando “Domenica in” s’è travestita da “Arena di Giletti”, un cabarè di pasterelle grilline da gustarsi col il tè, pure aveva funzionato ancora bene: si stava sui quattro milioni di ascolti, pennica più pennica meno. Il perché è facile da capire, il grillismo da dopopranzo di Giletti era pur sempre un’incarnazione del berlusconismo, la dea Kalì multiforme che acchiappa l’italiano medio ovunque si annidi. Quando si annida nell’incazzatura pop, com’è accaduto sovente in questi anni, il berlusconismo si fa concavo e convesso: lo spettatore vuole urlare?, lo spettatore ha sempre ragione. Ma quando pensi di ingannarlo, l’italiano medio, quando pensi che basti un ammicco alle Kessler per tornare ai fasti di Mamma Rai, quando mandi allo sbaraglio le Sorelle Parodia, allora è finita. Cristina e Benedetta, le Sorelle Parodia, hanno ovviamente il merito di essere innocenti, non figurano manco tra gli autori del programma. Si sono viste offrire un ruolo, non c’era nessun molestatore in giro, l’hanno preso al balzo. Una è una professionista di pregio, nonché un prodotto garbato della Mediaset way of life, non ha bisogno di essere la signora Gori; l’altra è il genio che ha reso il piccolo schermo interscambiabile col microonde, non ha bisogno di essere la moglie di Caressa. Per il resto, tutto è colpevole nella gestione Rai. A partire dall’idea di regalare le platee alla concorrenza, e di mandare allo sbaraglio due che giocano di fioretto contro una domatrice di leoni. Ma soprattutto, è il tentativo suicida di tenersi un pubblico bluffando sul menù. Alle Sorelle Parodia hanno rifilato in scaletta Panatta e Nancy Brilli, mancava solo un bicchierino di alchermès; di là c’erano due mostri che si insultavano sulla chirurgia plastica: “Ma guardati tu, sembri la donna gatto, sei più tirata della pelle di un tamburo”. Quando Barbara D’Urso ha sfoderato la storia della Barbie umana ed è schizzata al 24 per cento, le Sorelle avevano passato la linea a Bebe Vio con il suo improbabilissimo, imbevibilissimo cocktail dell’ottimismo. “La vita è una figata!”, precipitato all’8 per cento, sotto il monoscopio.

 

Gli italiani forse leggono pochi libri, ma due cose le capiscono: la realtà e la politica. Vedono le Sorelle Parodia della tv del governo, impugnano il telecomando più svelti di Dibba col megafono e zac: “Aridatece il berlusconismo vero”. E di là, a portata di zapping c’è lei, che più che l’incarnazione del berlusconismo pomeridiano ne è l’Essenza, è l’Eterno femminino del berlusconismo. Lei, la regina del pop, quando serve del trash, ma sicuramente del popolo: Barbara d’Urso. “Abbiamo costruito un programma nuovo che ha bisogno di un po’ di rodaggio”, dicono alla Rai. Un po’ come il Milan di Montella, insomma. Ma se domenica prossima il popolo in Sicilia va a votare con lo stesso infallibile intuito con cui maneggia il telecomando, avete già capito chi vince le elezioni. Intese quelle di primavera.

  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"