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diario di un prof

L'irrinunciabile prova scritta che agita gli esami

Marco Lodoli

Invogliamo i ragazzi alla sincerità, o i temi a scuola resteranno una noia

I contagiati aumentano a rotta di collo, stavolta soprattutto tra i più giovani, e così aumentano anche i dubbi sulla riapertura delle scuole. È chiaro che durante le vacanze natalizie il virus ha marciato spedito e bisognerà capire cosa accadrà il 10 gennaio, quanti studenti torneranno felicemente in classe e quanti saranno rinchiusi nelle loro camerette, in attesa di tamponi liberatori, e se le nuove regole, meno draconiane di prima, permetteranno comunque di fare lezione in presenza. La mia impressione, vale quello che vale, è che ci ritroveremo spesso in Dad, a ripetere “non sento, non vedo, ecco ora sì, ecco ora no…”. Nel frattempo si vanno definendo le modalità dell’esame di stato, cioè quello che molti giustamente continuano a chiamare esame di maturità. 

Credo che nessuna cosa al mondo si sia modificata così spesso quanto ’sto benedetto-maledetto esame, neanche negli spettacoli di Brachetti si assiste a trasformazioni così rapide e sbalorditive. La commissione è esterna, poi metà interna e metà esterna, poi solo interna, ma con un presidente esterno; gli studenti scelgono un argomento da sviluppare a fondo, la cosiddetta tesina, poi la tesina sparisce e appaiono delle foto e delle frasi selezionate dalla commissione su cui i ragazzi devono più o meno improvvisare, legando in modo spericolato tutte le materie, poi foto e frasi scompaiono e torna un argomento, indicato dai professori di indirizzo, che gli studenti dovranno approfondire. I professori devono porre domande sulle loro materie, i professori debbono assolutamente astenersi da porre domande sulle loro materie.

È una interrogazione su tutti i programmi svolti, non è un’interrogazione sui programmi svolti ma solo una serena chiacchierata su temi vasti e generici. Bisogna che il voto finale tenga presente il rendimento dello studente durante gli ultimi tre anni di scuola: ma la percentuale cambia, sessanta per cento, cinquanta per cento, settanta per cento. Le griglie di valutazione sono decise dal ministero, no, le griglie di valutazione sono decise dal consiglio di classe. Le prove scritte sono due, la prova scritta è una sola, non c’è più alcuna prova scritta, anzi no, una prova scritta serve ed è bene che ricompaia almeno il tema di italiano. 

Ecco, il tema ora viene considerato indispensabile per capire le capacità di ragionamento e di espressione dei poveri candidati. Sui giornali si è molto dibattuto attorno alla questione del tema di italiano, e si è arrivati alla conclusione che si può rinunciare a tutto, ma al tema no. Naturalmente questa decisione, ancora non ufficiale ma quasi, agita i nostri studenti, ma anche i loro professori di lettere, che sanno bene quanta fatica fanno i ragazzi a mettere su carta pensieri e impressioni. Il problema di fondo è che lo studente italiano non si fida per niente di ciò che ha visto, di ciò che ha vissuto, delle sue opinioni personali riguardo a qualsiasi argomento. Comincia a mettere insieme frasi astratte, subordinate che sbattono su altre subordinate come in un verbale dei carabinieri delle barzellette, ripete luoghi comuni orecchiati alla tavola dei grandi, incrociati per trenta secondi in qualche dibattito televisivo tra sapientoni ed espertoni, niente di sincero, niente di vero. Io invito sempre i miei studenti a partire da osservazioni reali: se il tema è sul razzismo, raccontassero della zingarella insultata in autobus, se è sull’ecologia, descrivessero i prati rinsecchiti sotto casa, l’albero morto di sete, il caldo mostruoso dell’estate.

E da lì poi possono sviluppare qualche ragionamento, ma sempre incrociando l’esperienza con il pensiero, vivificando l’uno con l’altra. Lo ripeto a oltranza: raccontate ciò che avete vissuto e cercate di capirlo. Ma non c’è niente da fare, non si fidano di se stessi, quando scrivono sembra che traducano da una lingua marziana in cui non è prevista alcuna testimonianza sincera. Sentono che il loro mondo non può interessare agli adulti, ai professori, che per fare contenti quei vecchi scemi devono fingere ragionamenti bizantini. 

Il risultato è quasi sempre una schifezza, frasi scombinate che non si tengono insieme, e soprattutto una noia infinita, l’imitazione insensata delle tiritere degli adulti. Il tema così diventa il punto debole dell’esame, un gorgo di parole vuote che tira giù. E allora questo è il mio consiglio ai professori di lettere: rassicuriamo i ragazzi, facciamogli capire che vogliamo leggere il loro punto di vista sul mondo, dalla loro finestra, dal loro giovane e prezioso balcone sospeso sul flusso della vita.  

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