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Assegnare supplenze ai laureandi al posto dei prof. no vax è un'ottima idea

Antonio Gurrado

Universitari in cattedra in sostituzione dei non vaccinati: una bella sveglia sia per gli insegnanti che per gli studenti

A sorpresa, una bella notizia dal mondo della scuola. Pare infatti che, con la ripresa delle lezioni a gennaio, i presidi saranno costretti a ingegnarsi per sostituire una cospicua quantità di insegnanti no vax; con l’entrata in vigore dell’obbligo vaccinale a partire dal 15 dicembre, col nuovo anno si capirà davvero quanti siano i disertori della fiala che popolano le sale professori. Fonti ministeriali riferiscono ai quotidiani di un 95 per cento di personale scolastico già vaccinato: percentuale che sembra elevata ma, se la applichiamo a un consiglio di classe di dieci docenti, implica che per ogni due classi ci potrebbe essere un No vax in cattedra, e non è mica poco. Un recente articolo del Corriere parla di circa ventimila posti che dovranno essere riassegnati in fretta e furia a supplenti; e, poiché non se ne trovano abbastanza, è già pronto a subentrare un piccolo esercito di universitari non ancora laureati.
I laureandi in cattedra nelle scuole? Quest’effetto collaterale del vaccino è positivo per più ragioni. Anzitutto gli alunni avranno, anche se temporaneamente, la possibilità di venire a contatto con forze fresche e valutare con maggiore oggettività il valore – e non di rado il disvalore – dei propri insegnanti abituali, sovente un po’ bolsi. Poiché gli alunni sono i fruitori di tutta l’immane macchina della didattica, è bene che vengano di tanto in tanto sottoposti a salubri paragoni; il fatto che siano piccoli non significa che non siano in grado di rendersi conto della qualità (alta o bassa) dell’insegnamento. Anzi, spesso sono gli unici in grado di poter strillare senza ipocrisie che il re è nudo.  

Gli universitari messi in cattedra scopriranno finalmente il mondo reale, senza bisogno di doversi sacrificare a fare i camerieri o chissà cosa: gli orari fissi, i tempi morti, gli impegni inderogabili, un tocco (eufemismo) di burocrazia insensata. Usciranno quindi dal periodo di supplenza con idee più chiare sul proprio futuro – magari tanti, che addormentandosi sui libri sognano di diventare insegnanti, svegliandosi in cattedra scopriranno di non averne la minima intenzione – e con competenze più solide: per capire bene ciò che si sta studiando, nulla è meglio che dover insegnarlo a qualcuno. 

I pifferai della didattica rococò, formalisti convinti che esistano metodi indefinitamente perfettibili cui sottoporre allievi ideali (e, come tali, inesistenti), verranno finalmente sgominati. Si capirà infatti che i laureandi, magari senza crediti specifici, senza corsi di formazione postlaurea, senza anno di prova, senza docente tutor, senza portfolio dell’insegnante, senza manuali di pedagogia astrusa, senza nessuna delle dodici fatiche più o meno obbligatorie per accedere all’insegnamento, alla fin fine non avranno fatto molti più danni dei titolari onusti di parafernali.

Gli insegnanti, infine. Quelli no vax, dei quali si legge che stanno imbastendo scuse inverosimili per conservare un ruolo che ritengono una prebenda fonte di diritti acquisiti, capiranno che nessuno è insostituibile e che, se la scuola ha per fulcro il sapere, non ci può essere spazio per il pensiero superstizioso. Gli altri, per fortuna la stragrande maggioranza, dovranno comunque darsi una mossa. Un buon laureando dispone infatti di contenuti più freschi, li ha studiati più di recente e se li ricorda meglio; non solo, spesso ha aggiornamenti più recenti rispetto a materie specifiche, memoria e facoltà di sintesi più allenate, oltre all’entusiasmo di chi sta scrivendo una tesi e la purezza di chi non ha ancora avuto tempo di annoiarsi. E così, gli insegnanti abituali dovranno prodigarsi per non sfigurare.

Per sovrammercato, in una nazione ossessionata dal culto del pezzo di carta e imperniata sul valore legale della laurea, paragonare il lavoro svolto dai supplenti laureandi a quello dei docenti standard non potrà che essere salutare. Si capirà una volta per tutte che la discriminante non è avere o meno una pergamena incorniciata e appesa al muro; la discriminante è sempre e solo aver studiato, e soprattutto continuare a farlo.

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