Protesta nella scuola Palombini di Roma (foto LaPresse)

Perché l'Italia ha bisogno di una vera rivoluzione educativa

Luca Del Pozzo

I governi hanno mantenuto irrisolto quello che resta "il” problema della scuola: la questione della libertà di insegnamento. Occorre garantire veri spazi di libertà educativa, sottraendone il monopolio allo stato

Un augurio di buon lavoro al neo ministro dell'Istruzione, e una modesta proposta da chi, una vita fa e anche se solo per pochi anni ha bazzicato le aule scolastiche stando dietro una cattedra. Sono convinto che ciò di cui il paese estremo bisogno, oltre a misure pratiche e immediate, è una vera e propria rivoluzione educativa. In cosa consista tale rivoluzione è presto detto: garantire veri spazi di libertà educativa, sottraendo allo Stato il monopolio dell'educazione. Nei decenni passati i governi che si sono succeduti hanno licenziato diversi progetti di riforma della scuola che, al di là del merito dei singoli provvedimenti, hanno mantenuto irrisolto quello che resta "il” problema della scuola, ovvero la questione della libertà di insegnamento. Perché sempre e comunque si è trattato di riforme governative, cioè a trazione statale.

     

Ma, questo il punto, una scuola davvero libera è una scuola in cui lo stato fa un passo indietro abbandonando ogni velleità riformatrice. Una scuola così, pensata in un'ottica di vera sussidiarietà, oltre che essere meno esposta al rischio di  "colonizzazioni ideologiche", per citare un’espressione cara a  Papa Francesco, sarebbe anche più rispettosa della Costituzione che, vale la pena ricordarlo, all’art. 30 pone in capo ai genitori, non allo stato, il dovere e il diritto di istruire i propri figli: "è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli" (tra l'altro, basterebbe questo per sfatare una volta per tutte il mito della "scuola dell'obbligo": ad essere obbligatoria – di nuovo, è la Costituzione che lo dice, al già citato art.34 - è l'istruzione, non la scuola).

 

Il tema della libertà educativa per le famiglie – che comporta anche la necessità di garantire effettiva parità alle scuole pubbliche gestite da privati superando la falsa equazione pubblico=statale – è un punto importante, che va al di là dell’aspetto economico o confessionale che sempre viene tirato in ballo. Perché ciò che si insegna nelle scuole, in ogni scuola, corrisponde ad una ben precisa antropologia, ed è esattamente questa la posta in gioco, cioè che tipo di formazione si vuole dare, per avere che tipo di uomo o cittadino. Occorre allora ripensare il modo stesso della trasmissione del sapere, portando l'istruzione fuori dalle secche della scuola statale verso nuovi modelli formativi. E da questo punto di vista un fenomeno interessante che, sull’esempio statunitense dove il tema è molto sentito sta prendendo piede anche in Italia, è quello delle cosiddette “parental school”.

   

Si tratta di iniziative formative la cui caratteristica peculiare – sia nel caso dell’ “homeschooling”, dove l’insegnamento avviene in ambiente familiare sotto la guida dei genitori, sia nel caso delle “scuole hobbit” che invece prediligono un modello di insegnamento comunitario che ricalca quello della scuola tradizionale con aule, maestre, orari, ecc. – è che sono i genitori, appunto, che si fanno carico in prima persona dell’istruzione dei lori figli. Di esempi, anche in Italia, non mancano. Esempi che dimostrano come sia possibile ricostruire un circolo virtuoso tra scuola e famiglia. E come mai come ora vi è la necessità che scuola e famiglia tornino ad essere, per usare la celebre metafora di S.Giovanni Paolo II, i “due polmoni” con cui far respirare la trasmissione del sapere alle future generazioni.

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