cattivi scienziati

Leggere la mente che legge

Enrico Bucci

Nuovi risultati, appena presentati, dimostrano come sia possibile tradurre l’attività elettrica cerebrale di una persona che legge in un testo scritto, corrispondente a quello letto

Utilizzando solo un casco dotato di sensori combinato con l'intelligenza artificiale, un team di scienziati ha annunciato di poter tradurre i pensieri di una persona in parole scritte.

   

Nello studio, i partecipanti hanno letto brani di testo indossando un casco che registrava l'attività cerebrale elettrica misurata direttamente attraverso il cranio. Queste registrazioni dell'elettroencefalogramma (EEG) venivano poi convertite in testo utilizzando un modello di intelligenza artificiale chiamato DeWave.

    

In particolare, in una dimostrazione avvenuta alla conferenza NeurIPS a New Orleans, in Louisiana, i partecipanti leggevano frasi ad alta voce e il programma scriveva ciò che interpretava su uno schermo, anche se il programma DeWave non è alimentato da stimoli sonori, come si è dimostrato successivamente in dati che saranno pubblicati a breve, ove i partecipanti leggevano silenziosamente.

    

Nonostante il sistema presentato alla conferenza sia ben lontano dall'essere perfetto, con un'accuratezza di circa il 40 per cento, i dati attualmente in fase di revisione paritaria mostrano un'accuratezza superiore al 60 per cento e i ricercatori sono certi di poter raggiungere livelli di accuratezza prossimi al 90 per cento.

   

L'anno scorso, un gruppo di ricerca dell'Università del Texas ha riportato una precisione simile nella traduzione dell’attività cerebrale in testo, ma è stata utilizzata la risonanza magnetica funzionale per interpretare l'attività cerebrale. L'utilizzo dell'EEG è più pratico, poiché i soggetti non devono stare fermi all'interno di una macchina per le scansioni e il sistema è portatile. Rispetto a soluzioni ulteriori, come elettrodi direttamente impiantati nel cranio, la nuova tecnologia è ovviamente ancora più vantaggiosa perché non è invasiva.

     

Ora, oltre al risultato ottenuto e ai possibili sviluppi futuri, che renderanno possibile donare nuovamente la parola a chi, per esempio a seguito di un ictus, la ha persa, è interessante fare alcune considerazioni generali che fanno luce sul modo in cui il nostro cervello funziona, derivabili dal modo stesso in cui il risultato discusso è stato ottenuto.

   

Il modello DeWave è stato addestrato esaminando molti esempi in cui si registravano i segnali cerebrali in corrispondenza di frasi e parole specifiche. Una volta che DeWave aveva ben associato determinate parole ai corrispondenti segnali cerebrali, il gruppo di ricerca lo ha collegato a un modello linguistico simile a ChatGPT, il quale utilizza le associazioni fra EEG e parole prodotte da DeWave per ottenere una rappresentazione probabilistica della frase originariamente letta dai volontari.

  

In sostanza, il modello linguistico “unisce i puntini” del rompicapo costituito dalla combinazione di parole fornite in ingresso, per generare frasi di senso coerente e compiuto, il tutto in tempo reale.

   

Ora, la cosa interessante è che, siccome il tutto ha funzionato su persone che non erano quelle utilizzate per addestrare DeWave, cioè per scoprire le associazioni fra testo letto e attività elettrica cerebrale, il funzionamento stesso della procedura indica che almeno fra persone di lingua madre omogenea (in questo caso, l’inglese) la lettura di un certo testo produce una rappresentazione cerebrale sotto forma di attività elettrica sufficientemente conservata, che un intelligenza artificiale può stabilire l’associazione fra quella e il testo letto, indipendentemente da chi sta indossando il casco usato per la registrazione.

  

Questo ci dice molto su come funziona il nostro cervello, quando è assorbito nel compito della lettura: esso genera un’attività che, se si guarda a persone della stessa lingua, è relativamente ben conservata fra individui diversi, ed è riconoscibile quindi un meccanismo di codifica del testo in attività elettrica ben precisa.

   

Come può avvenire che menti diverse arrivino a codificare allo stesso modo, nei propri cervelli, un testo in inglese?

   

Molto probabilmente, la questione è legata al fatto che le parole scritte corrispondono a stimoli sonori che il cervello riconosce; siccome è probabile che stimoli sonori simili producano attività cerebrale legata ad una percezione almeno parzialmente simile fra individui diversi, ciò che DeWave riconosce nella testa delle persone è la traduzione elettrica di uno stimolo sonoro “virtuale”, corrispondente alla parola scritta.

    

Resta a questo punto da scoprire se le stesse rappresentazioni, ordinariamente associate alla scrittura o alla parola usata, siano usate universalmente per rappresentare concetti durante la formulazione di pensieri.

   

Se così sarà, considerando anche la possibilità già dimostrata di riprodurre ciò che una persona sta osservando dall’analisi dell’attività cerebrale, la “vocina interiore” che crediamo di udire o le immagini che visualizziamo quando pensiamo avranno una loro corrispondenza conservata in persone diverse a livello di correlata attività elettrica, per cui sistemi simili a quello illustrato potranno davvero iniziare a leggere la mente di persone diverse, invece che solo quella del volontario usato per l’addestramento.

  

Ancora una volta, è appena il caso di ricordare che sono queste le frontiere cui davvero prestare attenzione; la ricerca nel mondo va avanti, e l’unico modo per non essere sorpresi da qualche sua inaspettata conseguenza (positiva o negativa che sia) è mettere i nostri ricercatori e i nostri cittadini nelle condizioni di operare e capire, anche solo per proibire ciò che dovesse essere necessario proibire, invece che inutilmente inseguire pericoli immaginari come quelli della carne coltivata.

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