cattivi scienziati

Moderna verso il booster bivalente. Ma restano alcuni dubbi da chiarire

Enrico Bucci

L'azienda ha annunciato i primi risultati dello studio di fase clinica 2/3 di quello che considera il suo miglior candidato per il richiamo vaccinale. Dovrebbe essere pronto in autunno e sembrerebbe funzionare meglio del richiamo “tradizionale”. Due rilievi critici

Con un comunicato stampa, Moderna ha annunciato i primi risultati clinici di fase 2/3 di quello che considera il suo miglior candidato per il richiamo vaccinale che prevede sarà necessario in autunno. Innanzitutto, è necessario dare una breve descrizione del prodotto testato: si tratta della combinazione in una sola fiala del vaccino approvato, con in più, nella stessa quantità, un RNA messaggero che codifica per la proteina Spike del ceppo Beta del coronavirus, testato a due diverse dosi (50 e 100 microgrammi totali) e denominato mRNA-1273.211.

 

In secondo luogo, va sottolineato che questa volta non siamo di fronte al solito comunicato stampa, privo di dati di dettaglio che permettano di formarsi almeno un primo giudizio: l’azienda ha infatti rilasciato anche un preprint, che consente un’analisi abbastanza precisa di ciò che si nasconde dietro le parole comunicate agli investitori.

   

In sostanza, è stata paragonata l’efficacia di una dose di richiamo “tradizionale” rispetto ad una effettuata con il nuovo prodotto, andando a misurare su circa 300 e circa 500 persone rispettivamente la formazione di anticorpi neutralizzanti di diversi ceppi di coronavirus a 28 e 180 giorni di distanza dal richiamo.

    

Il primo dato che salta agli occhi è che il richiamo con il nuovo prodotto funziona meglio del prodotto originale anche contro il ceppo Wuhan: la combinazione di due versioni diverse di Spike, cioè, favorisce la maturazione di una risposta anticorpale a spettro più ampio, rispetto alla somministrazione della sola versione originale. Questo dato è coerente con quanto ottenuto in altri studi, con prodotti che combinano fino a 8 diverse proteine Spike, e sembra indicare un principio generale della maturazione immunologica indotta dalla terza dose.

 

Guardando poi alla neutralizzazione anticorpale dei ceppi beta, delta ed omicron il risultato è confermato: il richiamo con due proteine diverse induce una maggior frazione di anticorpi neutralizzanti, rispetto al richiamo “tradizionale” sin qui utilizzato.

  

Dal punto di vista della sicurezza del nuovo prodotto, non vi sono particolari effetti collaterali da segnalare: al momento, tutto sembra in linea con quanto atteso e con quanto osservato con il richiamo effettuato utilizzando il prodotto già approvato. Lo studio, tuttavia, è di dimensioni troppo limitate per rivelare effetti rari, che sebbene inattesi, potrebbero essere variante-specifici; per questo motivo è necessario in ogni caso attendere dati su una popolazione più ampia di vaccinati.

   

A questo punto, tuttavia, sorgono alla mente una serie di rilievi critici nei confronti di questi dati e dei toni troppo trionfalistici dell’azienda.

  

Il primo, semplicissimo: perché mai dovremmo vaccinarci in autunno utilizzando un vaccino bivalente in cui la variante aggiunta al prodotto originario è la beta, sparita da tempo dai radar, invece che una delle sottovarianti Omicron?

Secondo punto critico: come possono essere utili i dati su una terza dose effettuata con il nuovo prodotto, per una popolazione come quella italiana, in cui la maggioranza è già stata vaccinata con tre dosi?

 

E infine, una questione cruciale riguardo i dati presentati. Come surrogato di efficacia, si è utilizzata la neutralizzazione nei confronti delle diverse varianti; già questo sarebbe un problema, ma il punto è che la differenza fra i livelli medi di anticorpi neutralizzanti indotti dal vecchio e dal nuovo prodotto non appare così marcata, da doversi necessariamente tradurre in una diversa efficacia clinica. Siamo quindi davvero sicuri che il nuovo prodotto sia meglio del precedente? E di quanto, in realtà?

   

In conclusione: va dato merito a Moderna di aver pubblicato i risultati su cui basa il proprio comunicato stampa, ma l’impressione – per ora – è che questi siano ancora troppo tenui per sostenere convincentemente la vaccinazione con il nuovo prodotto sviluppato, che sembra troppo risentire nella sua formulazione delle scelte di sviluppo dell’azienda, legate a virus ormai scomparsi. La rapidità di disegno di nuovi prodotti a RNA potrebbe forse tradursi in qualcosa di meglio, almeno dal punto di vista della ricerca necessaria ad indirizzare la produzione.

Di più su questi argomenti: