Si autoassemblano e proteggono ad ampio spettro. Ecco il futuro dei vaccini

Enrico Bucci

Un’ampia collaborazione internazionale anglo-americana ha pubblicato dati molto convincenti su un vaccino innovativo che combina le proteine Spike di tante varianti virali

L’uscita dallo stato di emergenza causato dall’emergere di SARS-CoV-2 è una combinazione fra un fenomeno sociale e psicologico, da un lato, e un fenomeno burocratico e legislativo dall’altro: i nostri comportamenti sono regolati in modo diverso, e il nostro orizzonte psicologico muta.

 

Tuttavia, dal punto di vista biologico ed epidemiologico, non vi è nessuna cesura netta: il virus continua il suo diffondersi o arretrare nella popolazione, l’immunità continua a diffondersi fra la popolazione, e purtroppo, in dipendenza della pressione epidemiologica e della disponibilità di individui suscettibili, malattia e morte continuano a manifestarsi in giro per il mondo.

 

Soprattutto – questo è il punto importante -non si ferma la gara darwiniana tra il nostro sistema immune ed il parassita: la pressione esercitata su quest’ultimo, sia dalla competizione intraspecifica che appunto dalla nostra almeno temporanea immunità di popolazione, porta in combinazione con la generazione continua di nuovi genotipi all’emersione di varianti virali che possono riprendere a propagarsi, sia fra le nuove generazioni non ancora immuni, sia in altre specie animali, sia finalmente in tutta la popolazione umana quando il virus acquista immunoevasività sufficiente. Questo è il motivo per cui, come abbiamo spesso detto, l’ottimo risultato ottenuto con i vaccini disponibili va considerato temporaneo alla luce dell’evoluzione futura del virus: è inevitabile che, proseguendo lungo il normale processo darwiniano, si perda via via la protezione offerta da prodotti molto specificamente mirati ad una certa variante del virus.

 

Ecco perché, giova ripeterlo, i vaccini che riescano ad avere uno spettro più ampio d’azione rappresentano il futuro, se si troverà che funzionano; ed ecco perché è di particolare interesse il risultato ottenuto da un’ampia collaborazione internazionale anglo-americana che ha pubblicato dati molto convincenti sull’attività in primati non umani di uno dei prodotti più innovativi allo studio.

 

Si tratta di un vaccino basato su una tecnologia affascinante, descritta tempo fa in un lavoro su Nature, che si ottiene nel modo seguente. Una particolare proteina, ottenuta da batteri che vivono ad alta temperatura e che pertanto è a sua volta resistente al calore, è stata modificata, in modo che 60 copie identiche di questa proteina, in soluzione acquosa, si autoassemblano a formare una struttura simile a quella di un piccolissimo pallone da calcio. Ricordate i solidi poliedrici di Leonardo da Vinci? Ecco, la struttura che si ottiene è proprio come uno di quei solidi, ma di dimensioni della scala dei miliardesimi di metro.

  

Su ciascun vertice di questo piccolissimo poliedro, sono agganciate chimicamente tante copie di 8 diverse versioni della proteina Spike di SARS-CoV-2, derivate da varianti diverse del virus. Questi minuscoli palloni da calcio, ricoperti dalle proteine di SARS-CoV-2, rappresentano il prodotto attivo del vaccino, e hanno in linea di principio una serie di vantaggi sui prodotti attuali. Innanzitutto, la loro produzione è relativamente semplice, e il prodotto che si ottiene è stabile a temperature ordinarie; inoltre, combinando le proteine Spike di tante varianti virali, ci si aspetta che stimolino una risposta immune ad ampio spettro; ed infine, visto il modo in cui sono generati i prodotti, è relativamente facile aggiungere qualche nuova versione di Spike al prodotto, ottenendo versioni del vaccino differenti.

  

Ebbene, le aspettative riposte in questo prodotto non sono andate deluse: uno studio in attesa di revisione, appena rilasciato, presenta dati molto incoraggianti.

 

Nei macachi, il vaccino induce una robusta risposta anticorpale ed una altrettanto robusta risposta cellulare non solo contro tutte le 8 varianti virali, le cui proteine Spike sono presenti nel vaccino, ma pure contro coronavirus diversi, sia altre varianti di SARS-CoV-2 (inclusa Omicron), sia addirittura sarbecovirus diversi, compresi alcuni di interesse zoonotico e compreso SARS-1. Questo avviene proprio grazie al mix di 8 diversi tipi di Spike del vaccino: se si usa una versione, in cui al “pallone da calcio” nanometrico si aggancia una Spike di un solo tipo di virus, si ottiene una buona risposta solo contro quello, ma non contro virus diversi.

 

Molto probabilmente, la stimolazione con antigeni diversi, che però mantengono porzioni conservate (le parti della proteina Spike uguali in tutti i virus utilizzati) orienta la risposta immune verso una maggior produzione di anticorpi a spettro più ampio, anziché verso quelli più ristretti alle varianti specifiche che dominano di solito; e lo stesso può avvenire anche per la risposta T stimolata (la quale è comunque risultata a più ampio spettro anche per i vaccini tradizionali).

 

Questi effetti hanno come conseguenza la protezione dalla malattia e dalla colonizzazione virale nei macachi, animali molto simili all’uomo per quanto riguarda lo sviluppo di COVID-19, nonché la protezione dall’infezione e dalla trasmissione.

 

Vaccini che si autoassemblano e proteggono ad ampio spettro: questo è quanto, almeno nell’animale, sembra funzionare molto bene.

 

Considerato che la tecnologia su cui si basa questo vaccino ha già dimostrato di potersi utilizzare in esseri umani (durante lo sviluppo clinico di altri vaccini), a questo punto siamo pronti per il prossimo passo: l’ottenimento dei primi dati di tossicità ed efficacia del vaccino ad ampio spettro basato su questa piattaforma in umano.

 

Per intanto, lo sforzo incredibile di questi due anni ha portato all’emergere di una seconda, incredibile tecnologia, dopo quella dei vaccini a RNA; ed è a queste cose che bisogna guardare, per guadagnare la speranza di un futuro in cui non finisca solo l’emergenza di oggi, ma si possa meglio prevenire quella di domani.

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