(foto EPA)

cattivi scienziati

I chiarimenti che deve dare lo Spallanzani sul vaccino Sputnik e la collaborazione con i russi

Enrico Bucci

A distanza di mesi permangono dubbi sul modo in cui l'istituto specializzato in malattie infettive ha sostenuto il vaccino russo, non curandosi dei rilievi mossi dalla comunità scientifica e delle presunte pressioni subite dal Cremlino

Grazie al cambio di percezione diffuso dovuto alla guerra scatenata contro l’Ucraina, cominciano ad emergere interessanti particolari circa il supporto e la promozione che in Italia alcuni ben determinati soggetti hanno manifestato nei confronti del vaccino Sputnik, sponsorizzato dal principale fondo sovrano russo RDIF e dal suo padrone, un oligarca putiniano oggi colpito dalle sanzioni internazionali. Il lettore ricorderà i dubbi espressi da me e da una nutrita schiera di colleghi internazionali sui dati pubblicati via via dagli scienziati russi sul loro vaccino: dati che definire lacunosi è poco, e che, soprattutto, in presenza di numerosi evidenti problemi e incongruenze, non sono mai stati messi a disposizione in maniera competa e trasparente della comunità scientifica internazionale, perché se ne potesse giudicare la consistenza.

A quelle critiche, i media controllati direttamente dal Cremlino risposero in maniera scomposta: fui all’epoca definito uno sciacallo in cerca di pubblicità, che agiva in accordo con una campagna di discredito organizzata dalle farmaceutiche occidentali, senza che ovviamente arrivasse neppure l’ombra di una risposta né alla prima, né alla seconda lettera pubblicata su Lancet insieme a nostri illustri colleghi – fra cui alcuni scienziati russi – in cui si chiedevano chiarimenti e dati.

Mentre la macchina del fango putiniana è normale amministrazione, ed in un certo senso reazione attesa vista l’entità e la rilevanza degli interessi in gioco non solo economici ma anche geopolitici al cui centro si è trovato il vaccino Sputnik, ciò che fin dall’inizio destò stupore e costernazione fu il vedere la decisa presa di posizione da parte dell’Istituto Spallanzani a favore del vaccino, senza che nessuno dei problemi sollevati dalla comunità internazionale fosse non dico affrontato, ma neanche citato, e senza una base di dati ulteriore che potesse fugare tali dubbi.

Gli accordi precocissimi tra lo Spallanzani e il fondo sovrano RDIF, mediati dalla politica della regione Lazio, sono stati di per sé un’anomalia, perché, nelle normali collaborazioni scientifiche sono i ricercatori e le istituzioni scientifiche a collaborare, senza particolari tramiti finanziari e politici; in questo caso, invece, la politica regionale scese immediatamente in campo, dando l’impressione di utilizzare quasi fosse una propria diretta dependence l’Istituto Spallanzani.

Questa collaborazione, alla fine, ha persino prodotto un preprint, in cui si afferma che contro la variante Omicron il vaccino Sputnik sarebbe migliore degli altri, che però, come molta della produzione scientifica su questo vaccino è afflitto da problemi tali, da rendere assolutamente incredibile il risultato sostenuto; con l’aggiunta del fatto che l’autorizzazione del comitato etico dello Spallanzani, citata nel preprint, si riferisce ad uno studio del tutto diverso da quello pubblicato, facendo sorgere il fondato sospetto che il preprint, oltre che essere bacato scientificamente, rappresenti anche uno studio mai autorizzato nella forma resa pubblica.

Perché lo Spallanzani ha agito su Sputnik trascurando ogni problema sollevato, e procedendo nel modo descritto? E perché la politica locale fece balenare sperimentazioni, autorizzazioni, addirittura produzioni di un vaccino mai autorizzato da EMA, e tanto meno da AIFA? A fronte di queste domande, arriva la testimonianza raccolta dal giornalista della Stampa Jacopo Iacoboni, che in un articolo dedicato così scrive a proposito di un importante dirigente dello Spallanzani: "Nel giugno 2020, due mesi prima che Putin annunciasse l’approvazione di Sputnik, viene avvicinato – ci viene messo per iscritto da una fonte, e confermato da altra fonte – da funzionari di stato russi che gli offrono parecchi soldi (circa 250 mila euro), ma lui prima ancora di farli finire, chiama i carabinieri e infatti qualche giorno dopo si presentano all’Istituto due signori dei Servizi per parlare con lui”.

Se le due fonti di Iacoboni dicono il vero, si rivela una facile ragione di tanto interesse in Italia e allo Spallanzani rispetto ad un prodotto che potrebbe anche essere ottimo, ma la cui efficacia è stata documentata in maniera assolutamente non idonea e la cui qualità produttiva è stata trovata scarsamente garantita, a dire di alcune agenzie regolatorie come quella del Brasile.

Ora, per dissipare simili dubbi è doverosa chiarezza da parte di un Istituto con una storia così gloriosa alle spalle: innanzitutto, quali tipo di verifiche si intendono fare, a fronte di dichiarazioni di gravità inaudita, quali quelle apparse sulla Stampa? Ed inoltre, sia all’epoca della loro pubblicazione, sia successivamente ad essa, quale idea si sono fatti i colleghi dello Spallanzani, nel merito delle problematiche scientifiche denunciate da tanta parte della comunità scientifica nazionale e internazionale? E per quello che riguarda il comitato etico dell’Istituto, nessuno ha niente da dichiarare, circa la congruenza fra il protocollo e lo studio descritti nel preprint pubblicato in collaborazione con il Gamaleya russo, e rilanciato ovviamente dalla propaganda del fondo RDIF, ed il protocollo e lo studio corrispondenti all’autorizzazione etica citata nello stesso preprint?

Di più su questi argomenti: