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Cattivi Scienziati

La chimica verde è la chiave per un riciclo sempre più completo

Enrico Bucci

Non sarà mai possibile riciclare tutto e perfettamente; ma nulla sarà davvero riciclato utilmente, senza una chimica innovativa e appropriata

Nei giorni precedenti, abbiamo esplorato alcune interessanti applicazioni di ricerca della chimica, che mostrano come sia il ricorso a questa scienza, piuttosto che il suo abbandono, a poter indicare possibili soluzioni per l’indispensabile mitigazione del nostro impatto ecologico sul pianeta.

Oggi, invece che restringermi ad un campo applicativo definito con i miei esempi, vorrei introdurre il lettore ad un principio cardine della chimica verde, e illustrare esempi della sua diretta applicazione senza limitarmi ad uno specifico settore. Il principio, che suonerà familiari agli ecologisti di ogni provenienza, è quello della circolarità. Nella chimica verde, così come formulato inizialmente negli anni ’80 del secolo scorso, per circolarità si intende il riciclo a basso impatto ambientale di tutti gli atomi costituenti un determinato prodotto chimico. La chimica è trasformazione della materia; attraverso di essa, quindi, è possibile disegnare veri processi di trasformazione circolare, invece che di semplice riutilizzo di un dato prodotto. Questo riciclo può avvenire o direttamente in reattori chimici, attraverso la trasformazione di un prodotto a fine vita in uno rigenerato oppure in altro prodotto utile, oppure per tramite di processi biologici, in grado di trasformare i prodotti di scarto in composti utili per la vita di organismi viventi.

 

Naturalmente, un obiettivo primario è quello di inserire passaggi chimici innovativi per trasformare prodotti che originariamente erano stati disegnati senza preoccuparsi di cosa accadesse a fine vita. Prodotti, magari, disegnati per abbassare il nostro impatto ambientale, i quali però rischiano di diventare a loro volta una nuova fonte di disastroso inquinamento. 

È il caso dei pannelli solari. A partire circa dal 2000, milioni di pannelli solari sono stati impiantati in tutto il mondo, con un ciclo di vita previsto di 25-30 anni. Questo implica che, a breve, molta parte di questo parco pannelli sarà da buttare, con un picco previsto fra il 2036 e il 2045. I metalli utilizzati per i pannelli, che includono anche elementi rari, sono da tempo noti per la loro tossicità e per il loro effetto inquinante, e il silicio, che è ad oggi il maggior competente, è pure esso fortemente inquinante ai volumi in cui è destinato alle discariche. 


Grazie ad una serie di processi chimici diversi, si è oggi vicini al poter riestrarre dai pannelli a fine vita quasi tutte le componenti con un’alta efficienza; ma, se si va ad analizzare l’insieme dei processi sin qui proposti, a fronte di un ottimo bilancio ecologico, la sostenibilità finanziaria non è ancora raggiunta.
E’ per quest’ultimo motivo che sono particolarmente interessanti alcuni processi chimici che, invece di limitarsi alla riestrazione pura e semplice, possono ottenere nuovi materiali pregiati a partire dagli scarti; e questo è proprio il caso, ad esempio, appena illustrato nei laboratori di Singapore, ove è stato messo a punto un processo per ottenere dai pannelli usati, e in particolare dal silicio, materiali termoelettrici, ovvero una classe di rari materiali che sono in grado di convertire differenze di temperatura in corrente elettrica e viceversa.


Consideriamo ora un secondo esempio, questa volta addirittura già arrivato sul mercato. Non tutti sanno che l’industria tessile è la seconda al mondo per impatto ambientale, sia a causa del consumo energetico sia a causa dell’inquinamento durante la produzione e a fine vita, a causa della dispersione delle fibre usate. Fra i prodotti a maggior impatto ambientale si conta l’ubiquitario nylon. Cosa potrebbe accadere, se esso fosse prodotto da rifiuti plastici, residui dell’industria tessile, vecchi tappeti e reti da pesca abbandonate? Questo è esattamente quanto realizzato attraverso la produzione di un Nylon rigenerato, denominato Econyl, identico all’originale. I rifiuti vengono trattati chimicamente, riducendoli a piccole molecole, le quali sono poi riconvertite in fibre nuove di zecca. L’intero processo, oltre a riutilizzare rifiuti, utilizza meno acqua ed energia e produce meno inquinanti della produzione tradizionale di nylon, e può riconvertire i propri stessi prodotti, a fine vita, in nuova fibra, in un processo virtualmente infinito, in un perfetto esempio realizzativo della circolarità di trasformazione chimica degli atomi predicata dalla chimica verde. Dal 2011, sono sul mercato con successo prodotti fatti di Econyl, a dimostrazione della sostenibilità anche economica. 

Non sarà mai possibile riciclare tutto e perfettamente; ma nulla sarà davvero riciclato utilmente, senza una chimica innovativa e appropriata.

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