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Cattivi Scienziati

Produrre energia pulita vincendo il tabù della chimica: due passi importanti nella ricerca

Enrico Bucci

La ricerca chimica in questo settore è vitale sia per quel che riguarda l’abbattimento dell’inquinamento e del processo che sta portando al disastro climatico, sia per diminuire la dipendenza da fonti non rinnovabili

Ieri abbiamo cominciato il nostro viaggio nei laboratori del mondo che stanno reindirizzando la ricerca chimica in un modo nuovo, ovvero alla produzione di materiali e sistemi in grado di svolgere le funzioni per noi necessarie, sotto il vincolo di un abbattimento della loro impronta ecologica. Oggi vorrei svolgere qualche ulteriore esempio, con un avvertimento prima di cominciare: la ricerca può aiutarci ed è senza dubbio promettente, ma l’abbandono di stili di vita insostenibili alla nostra densità di popolazione non è rimandabile.

L’idea che la ricerca o la tecnologia, alla fine, ci salveranno, ha già fatto troppi danni perché si possa evitare di stigmatizzarla. Detto questo, è tuttavia anche necessario riportare all’attenzione di tutti i risultati che la ricerca scientifica ha ottenuto o sta ottenendo, per evitare improponibili e dannosi richiami al passato, i quali oltre a non risolvere i problemi che si propongono di affrontare, hanno radici più in miti nostalgici che in realtà storiche documentate e conducono a danni ben maggiori di quelli che vorrebbero superare. Passiamo quindi all’argomento odierno: la produzione di energia con nuovi sistemi avanzati e sostanzialmente diversi da quanto realizzato sin qui.

 

Il campo della produzione energetica è un fronte di primaria importanza, per quella rivoluzione chimica che può migliorare il nostro modo di stare al mondo: cosa possa fare la ricerca chimica in questo settore, dunque, è vitale sia per quel che riguarda l’abbattimento dell’inquinamento e del processo che sta portando al disastro climatico, sia per diminuire la dipendenza da fonti non rinnovabili, inevitabilmente destinate all’esaurimento.
Il laboratorio che virtualmente intendo mostrare al lettore è quello di Daniel Nocera, ad Harvard. Nel 2016, il suo gruppo ha descritto un sistema in cui alcuni speciali catalizzatori, in un processo alimentato con corrente elettrica, producevano ossigeno e idrogeno scindendo l’acqua; l’idrogeno, fornito ad appositi batteri della specie Raistonia eutropha, era quindi impiegato per attaccare l’anidride carbonica gassosa, trasformandola in prodotti utili come carburanti alcolici e biomassa batterica utilizzabile per vari scopi, eliminando dall’atmosfera 180 grammi di anidride carbonica per ogni kWh consumato. Accoppiando il sistema ad un pannello fotovoltaico, alla fine si otteneva la trasformazione dell’anidride carbonica atmosferica in prodotti utili con un’efficienza superiore al 10 per cento, a fronte di quella ottenuta dalle piante che varia dall’1 fino al 10 per cento in condizioni ottimizzate (alghe in microsfere artificiali). Immaginate: attraverso questo processo, si riesce a ricatturare più anidride carbonica di quanto possono fare le piante, ottenendo per giunta carburanti migliori della legna, oppure, ingegnerizzando opportunamente i batteri utilizzati, ottenendo altre molecole di interesse direttamente attraverso l’energia solare.

 

In un altro laboratorio, quello di Curtis Berlinguette in Canada, si è dimostrato che, dopotutto, non è nemmeno necessario utilizzare batteri per il processo: utilizzando un diverso tipo di catalizzatori, ottenuti da molecole di uso comune, letteralmente “incastrati” in microarchitetture specifiche (celle di flusso), è possibile in presenza di corrente elettrica fornita da un pannello fotovoltaico ottenere la trasformazione dell’anidride carbonica atmosferica in ossido di carbonio. Questo poi è trasformato in prodotti diversi (ancora una volta biocarburanti o molecole di interesse specifico) attraverso processi chimici ben noti. La durata del catalizzatore, nelle condizioni studiate, è di oltre 100 ore di lavoro continuativo, il che supera il limite tecnico di 10 ore dei precedenti design, e mostra la direzione in cui si può ulteriormente progredire.


Nei casi precedenti, si consuma energia solare per ottenere il sequestro dell’anidride carbonica in carburanti e altri prodotti utili – di fatto si converte energia solare in forme utilizzabili. Ma cosa succederebbe se potessimo consumare anidride carbonica, ottenendo energia? Esistono diversi prototipi di celle elettrochimiche che sono in grado di fare esattamente questo: usando un metallo all’anodo e anidride carbonica al catodo (in miscela con altri gas), consumano CO2 e producono corrente elettrica e molecole a base di carbonio. In sostanza, abbiamo i primi prototipi di batterie che producono energia elettrica, consumando un gas serra particolarmente abbondante.
Gli esempi che ho fatto – tutti – non sono soluzioni: sono passi importanti nella loro direzione, e servono a mostrare dove potrebbe portare una ricerca chimica orientata verso il bene dell’ambiente. Ne parleremo ancora, per comprendere come la chimica non sia quel demone che è stato costruito a tavolino, ma un semplice strumento, utilizzabile in modo appropriato o meno a seconda dell’interesse che ci muove.

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