(Foto LaPresse)

Cattivi scienziati

Ancora ombre sul vaccino Reithera

Enrico Bucci

Lo studio di fase 2 sul vaccino italiano non chiarisce i dubbi. E il futuro incombe

Dopo 5 settimane dall’inizio dello studio di fase 2 Covitar, l’azienda Reithera ha rilasciato un comunicato stampa per informare il pubblico circa i risultati preliminari sin qui ottenuti nella sperimentazione del proprio vaccino adenovirale. Secondo l’azienda, lo studio, su poco più di 917 volontari, avrebbe innanzitutto confermato il buon profilo di tollerabilità del vaccino; inoltre, si osserverebbe la produzione di anticorpi, dopo la seconda dose, nel 99 per cento dei volontari, produzione che sarebbe a livello di un gruppo di soggetti convalescenti dopo l’infezione naturale, scelto come controllo. Cosa possiamo ricavare dal comunicato aziendale con cui queste informazioni sono state diffuse? Per la verità, è ancora presto per dare giudizi. 

 

Innanzitutto, non conosciamo nulla della struttura della popolazione testata; non sappiamo, per esempio, quanti siano i soggetti con età maggiore di 65 anni, visto che nel comunicato si parla di un gruppo pari al 25 per cento del totale formato da soggetti di tale fascia di età e/o soggetti a maggior rischio clinico se infettati. Inoltre, il fatto che nel comunicato si menzioni che tutti i pazienti hanno sviluppato anticorpi a livello paragonabile a quello di un gruppo di controllo, non vuol dir molto, visto che per esempio in fase 1 si è scelto come gruppo di controllo un insieme di soggetti con malattia lieve. 

 

Ancora, nonostante lo studio Covitar avrebbe dovuto essere in cieco fino al suo completamento, come prevedibile le obiezioni etiche che anche su queste pagine furono sollevate contro la somministrazione di placebo a persone per le quali in Italia è già disponibile un vaccino efficace hanno portato alla modifica del protocollo, per cui leggiamo che “si è proceduto con l’apertura del cieco al raggiungimento da parte di tutti i volontari della visita a due mesi dalla prima somministrazione, per consentire a chi avesse ricevuto il placebo di accedere alla campagna vaccinale Covid-19”. Dunque, niente più valutazione in cieco e niente più comparazione contro un placebo; ci si chiede a questo punto quale sia il disegno attuale dello studio, e come si intende valutare l’efficacia del vaccino, visto che par di capire che a questo punto in fase 3 non si farà un confronto contro placebo. Si passerà a un trial comparativo con altri vaccini? In cieco e se sì, come? E perché non si è proceduto fin dall’inizio in questo modo, come suggerivano il buon senso e le stesse obiezioni di natura etica che a quanto pare sono fatte valere adesso?

 

Ma poi, soprattutto: si sono ottenuti dati anche preliminarissimi di efficacia clinica nella fase 2, oppure chi ha avuto il placebo ha dovuto assumersi un rischio per niente – cosa possibile, visto che i casi di infezione nelle ultime 5 settimane in Italia sono stati così pochi, da rendere difficile la valutazione di efficacia?

 

Insomma: questo comunicato fa pochissima luce, e tutte le questioni già sollevate in precedenza rimangono in piedi. In aggiunta, la notizia che i vaccini a vettore adenovirale già approvati giacciono inutilizzati, tanto che si è deciso di non richiederne altri, non fa ben sperare per un vaccino adenovirale come quello di Reithera, ancora in sviluppo (non sono stati ancora pubblicati su rivista i dati di fase 1) e senza nessun dato di efficacia.

 

Reithera, tradita dalla politica che aveva improvvidamente fatto promesse che non stavano in piedi, sembra trovarsi adesso in una situazione davvero difficile, con buona pace degli ultrà che avevano inondato i social media, una volta terminato l’entusiasmo per il plasma terapeutico di Joseph Dominus e del suo alter ego italiano. Più ancora che di un candidato vaccino, che ne sarà di questa azienda, ove lavorano bravissimi ricercatori italiani, anche loro come tanti altri eredi della tradizione scientifica di eccellenza iniziata da Riccardo Cortese e dalla sua Irbm? Esiste ancora un piano industriale degno di tale nome, o siamo arrivati al velenoso epilogo cui portano spesso gli interessi intrecciati di politica regionale e nazionale, da una parte, e comunità scientifica asservita a quegli interessi, dall’altra?

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