(LaPresse)

Combattere la cialtroneria

Ho avuto quel lotto di AstraZeneca

Mauro Berruto

È scienza, non democrazia. Cronaca di una follia collettiva testata sulla mia pelle

Ho ricevuto il vaccino, in quanto docente, secondo le indicazioni della mia regione, il Piemonte. È successo il 7 marzo, giorno in cui ho visto inoculare nel mio corpo un cocktail di migliaia di ore di lavoro di ricercatori, coraggio dei primi volontari, nervosismo di chi attendeva un risultato, gioia di chi avrà urlato al comparire di un dato su un computer. Dopo l’iniezione, mi è venuto spontaneo ringraziare uno per uno i medici, gli infermieri, i volontari della protezione civile. “Grazie a lei di essersi vaccinato” mi ha risposto un medico. Ho sorriso, ero io a ricevere un regalo. 

 

Il vaccino, come definito dal piano vaccinale per la mia categoria di insegnante, era AstraZeneca, lotto ABV5811. Sì, proprio quello sequestrato dai Nas e che ha determinato la sospensione su tutto il territorio nazionale. Ho lavorato per trent’anni nel mondo dello sport, ora sono docente in una scuola dove si studiano i meccanismi della narrazione e non sono un medico. Credo nella scienza, nella poesia, nella matematica, nella filosofia, nella forza della logica e in quella della passione. E credo che ciò che abbiamo visto accadere negli ultimi giorni sia la più incredibile manifestazione di follia cui mi sia capitato di assistere. La scienza ha fatto un miracolo che la cialtroneria sta azzerando. L’analfabetismo strutturale e l’opinione da social ha costretto la scienza a rallentare e non riesco a credere ai miei occhi e alle mie orecchie. Proprio in questo contesto, oggi, ho accompagnato mio papà, 85enne un po’ acciaccato, a fare il suo vaccino Pfizer. Sono tornato nello stesso posto, seguendo lo stesso percorso. Pochissime persone, tutte anziane, accompagnate da figlie, figlie, badanti. Stessa procedura, foglio da compilare, numerino, stessa sala dove passare i 15 minuti post-iniezione.

 

In quella sala, in mezzo ad anziani felici e seduti come ai bordi della piscina di Cocoon, origlio un dialogo: “Io sono contenta di aver fatto il vaccino” esordisce un’anziana signora. “Sono contenta, però se lo dovrebbero fare tutti. Perché se non se lo fanno tutti pure quello che ho fatto io non serve a niente. Io non l’ho mica fatto per me! L’ho fatto perché questa cosa finisca”. Nessuna risposta. “Se lo dovrebbero fare tutti”, ripete la signora “non serve a niente se non lo fanno tutti”. Da qualche metro di distanza arriva una replica: “È la democrazia, signora”. Ho iniziato a pensarci. È la democrazia? No. È la conseguenza del costante abbassamento dell’asticella della cultura, della formazione, della scolarizzazione. È la conseguenza di una forma di narrazione potentissima che si fonda su un fattore esclusivo: la velocità. Mentre aspettavo che passassero i quindici minuti, ho ripensato alla forza dello storytelling che, se usato in maniera cialtrona, genera danni incalcolabili, ma che, se lo possiedi, ti permette di difenderti. Ho pensato alla libertà che regala lo studio, alla necessaria esperienza del viaggio, alla meraviglia della contaminazione. In un centro vaccinale contro la più grande pandemia degli ultimi cento anni, mi è tornata alla mente la ricchezza che regala la contaminazione.

 

L’Aifa si è presa tre giorni per decidere sul futuro del vaccino AstraZeneca, la cui reputazione è comunque compromessa e di tutta questa storia allucinante resterà solo una cosa certa: tre giorni senza vaccinare significheranno tre giorni in più di pandemia. E tre giorni in più di pandemia, alla media attuale, sono mille morti in più. Mille morti in più, quelli sì, sono l’unica cosa certa. Anzi, c’è un’altra cosa certa: che quando questa faccenda sarà finita, servirà davvero una Norimberga.

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