Così l'agricoltura campana riemerge dal fango mediatico della Terra dei Fuochi
A circa quattro anni dall’esplosione del caso, sono emersi solo sei casi di positività su 30 mila campionamenti. Limone, direttore dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mediterraneo, “la scienza sta dicendo che è una 'fake news'”.
Roma. “Il mondo scientifico sta dicendo che la Terra dei Fuochi è una ‘fake news’, e questo non è frutto di opinioni”. A dirlo è Angelo Limone, direttore dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mediterraneo, che ieri ha presentato il risultato di una ricerca durata tre anni per dare una definitiva risposta all’allarmismo motivato dalla storia sull’agricoltura campana contaminata da agenti tossici.
A circa quattro anni dall’esplosione del caos mediatico che ha generato tutto, sono emersi solo sei casi di positività su 30 mila campionamenti effettuati presso 10 mila aziende dell’agroalimentare dell’intera Campania per la ricerca di contaminanti chimici e microbiologici potenzialmente dannosi per la salute dei consumatori. Ciò significa che nel 99,98 per cento dei casi i campionamenti hanno superato gli esami. A oggi solo 33 ettari su 50 mila di suolo agricolo nella cosiddetta Terra dei Fuochi sono stati interdetti alla coltivazione per presenza di rifiuti o di contaminanti. Ovvero lo 0,06 per cento del totale. Peraltro un terreno può essere interdetto alla frequentazione anche solo in via precauzionale per evitare danno alla salute degli agricoltori – non perché gli ortaggi sono nocivi.
Caso paradigmatico quello di un terreno coltivato a patate “interdetto” nel febbraio 2015 per la presenza di piombo. Il generale della Guardia forestale, Sergio Costa, uno degli “eroi” della Terra dei Fuochi in coppia con il don Maurizio Patriciello, famoso per avere maledetto dei pomodori, ne montò un caso portando sul posto una troupe della trasmissione Rai “Linea Verde”. “Abbiamo fatto le verifiche, abbiamo trovato tantissimo piombo, oltre i parametri di legge in modo consistente, e questo sito di cinque ettari andrà a caratterizzazione ambientale e poi a futura bonifica”, disse. Si scoprì poi che c’era piombo solo perché lì sorgeva un poligono di tiro.
L’allarmismo mediatico è stato determinante nella creazione della bufala della Terra dei Fuochi che venne ripresa dal New York Times nel 2014. Si scatenò la caccia al veleno nei frutti e negli ortaggi. Dei normali limoni sono stati definiti “mostruosi” per via della forma bitorzoluta data dall’infezione di un fungo. Solo sentire parlare di “metalli pesanti” nelle acque irrigue – peraltro in un terreno vulcanico dov’è naturale che abbondino – motivò gravi sospetti, nonostante arsenico o mercurio siano presenti in misura anche maggiore nelle acque potabili. Sul caso naque il movimento “stop biocidio”, saldato ai vari gruppi del “No” italiani.
Il racconto mediatico è stato cavalcato da trasmissioni tv come “Le Iene” che hanno fatto dell’allarmismo travestito da giornalismo d’inchiesta un marchio di fabbrica. E’ ricorrente nei media l’uso di immagini prese dal film “Gomorra”, tratto dall’omonimo libro di Roberto Saviano dove si racconta di montagne gravide di rifiuti tossici e campagne pregne di sostanze mortali. E notevole è stato il contributo alla creazione di un immaginario “inferno atomico” del pentito Carmine Schiavone, morto nel 2015. “Non era possibile che tutto il fenomeno di un pentito di Camorra, che al fine dei suoi privilegi cominciasse a raccontare balle, diventasse un fenomeno collettivo di sfacelo. E che tutti quelli che hanno attività agricole e quei cittadini che mangiano cibo campano venissero etichettati come ‘contaminati’ è stato ingiusto”, ha detto Limone spiegando il movente dell’indagine. Il colpo reputazionale ha inferto danni alla filiera agroalimentare campana. Danni dovuti a speculazioni sui prezzi e non sui volumi – i prodotti venivano comunque acquistati ma a prezzi molto inferiori – stimati in 500 milioni di euro nel biennio 2014-2015. Il trattamento grave ricevuto da “una delle regioni più importanti per biodiversità e prelibatezza del proprio cibo” non è comunque stato vano, secondo il direttore Limone. “In fondo sono grato alla Terra dei Fuochi perché siamo la regione dove si fanno più controlli che altrove, c’è maggiore senso di responsabilità per l’ambiente da parte dei giovani che vivono in Campania e abbiamo messo assieme gruppi nazionali e internazionali di ricerca di grandissimo spessore”, ha detto. La consolazione maggiore nella desolazione di un guaio evitabile deriva dal fatto che l’antica Terra Laboris si sta liberando dello stigma della Terra dei Fuochi. Le esportazioni campane sono cresciute del 14,3 per cento nel primo semestre 2017 rispetto all’anno precedente (a quota 271 milioni di euro) e del 19 per cento rispetto al 2015, secondo Banca d’Italia. La filiera del pomodoro campano ha fatto registrare un più 13 per cento e i prodotti ortivi più 18. Oggi nei 2.500 ettari della Piana del Sele si produce il 50 per cento dell’insalata in busta del mercato europeo.