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A chi non piacciono le Nbt, gli Ogm "naturali" che sfamerebbero il pianeta

Enrico Cicchetti
La sigla sta per New breeding techniques: vegetali modificati senza Dna estraneo. Ma la Commissione europea va in panne e Greenpeace si lamenta.

Nell’anno 1503 Firenze si incaponiva in un inutile quanto costoso assedio di Pisa. È in questa situazione che la paura e la diffidenza verso la patata, oggi l’alimento più comune al mondo dopo i cereali, venne sconfitta dalla fame. Ci furono poi la grande carestia d’Irlanda e quella in Francia. La soluzione allora venne dall’agronomo Antoine Augustin Parmentier, che convinse re Luigi XVI a ordinare la coltivazione delle patate. Così il “tubero del diavolo” entrò nell’alimentazione popolare, sbaragliando resistenze culturali e ignoranza. Oggi a essere demonizzati sono gli Ogm, tanto che nel giugno scorso 110 premi Nobel hanno chiesto a Greenpeace di smetterla con la sua battaglia dogmatica contro gli organismi transgenici: potrebbero salvare dalla fame milioni di persone.

 

E a proposito di patate, vale la pena ricordare un recente paper pubblicato da un’équipe di ricercatori internazionali su Pnas: nei tuberi si trova Dna di origine batterica, trasferito con un meccanismo naturale ma del tutto simile a quello usato dai biotecnologi per modificare geneticamente le piante. “La presenza naturale”, ha spiegato Lieve Gheysen, dell’università di Ghent “del T-dna di Agrobacterium nella patata dolce e la sua ereditarietà stabile durante l’evoluzione sono un bellissimo esempio della possibilità di scambio di Dna tra le barriere che separano le diverse specie”. Che l’argomento della “naturalità” possa aiutare a sfatare le leggende sugli Ogm?



Manifestazione contro patate OGM (foto LaPresse)


È una speranza che ritorna anche guardando alle New Breeding Techniques (Nbt), per le quali si attende un parere dalla Commissione europea – al centro di un guazzabuglio legislativo e di una battaglia ideologica – per capire se debbano ricadere o meno nell'ambito di applicazione della direttiva 2001/18/CE sull'emissione deliberata nell'ambiente di Ogm e della direttiva 2009/41/CE sull'impiego confinato di microrganismi geneticamente modificati. Una risposta era attesa il 30 marzo scorso ma i tempi sono slittati ulteriormente. Le Nbt sono tecniche di miglioramento vegetale di ultima generazione: cisgenesi, genome editing, selezione varietale inversa, nucleasi a dito di zinco, mutagenesi oligonucleotide diretta. Al di là dei nomi altisonanti “Le Nbt sono tecniche di miglioramento genetico all’interno della stessa specie”, dice al Foglio Giovanni La Via, deputato al Parlamento Europeo e Presidente della Commissione Ambiente, Sanitá Pubblica e Sicurezza alimentare. “I risultati ottenuti con queste tecniche potrebbero essere ottenuti in natura attraverso innumerevoli e costosissimi incroci. Se ne dovrebbero eseguire miliardi per individuare quello in cui parte del patrimonio genetico miglioratore si trasferisce in una pianta con altre caratteristiche di pregio ma non il carattere desiderato". Per intenderci: potremmo creare una patata resistente ad alcuni batteri prendendo questa “resistenza” da varietà selvatiche. "Con le Nbt acceleriamo il processo, riduciamo i costi, aumentiamo la capacità competitiva del sistema senza rischi di alcuna natura per il consumatore”.

 

Secondo i detrattori, Greenpeace in testa, le Nbt sarebbero temibili “Ogm 2.0”, un cavallo di Troia che permetterà l’ingresso di “organismi Frankenstein” nell’Unione europea. L’Ong, in un recente briefing, parla di possibili “effetti indesiderati e imprevedibili” di queste tecniche. Alessandra Gentile, docente di Arboricoltura e prorettore dell’Università degli Studi di Catania, spiega al Foglio perché non c’è nulla da temere: “I due pilastri delle Nbt sono cisgenesi e genome editing. Il genome editing è una tecnica nuovissima, quindi non ci sono ancora studi sufficienti ma è verosimile supporre che impattino in termini di rischio in modo esattamente uguale a quello che si ingenera con la mutagenesi indotta, un metodo di miglioramento genetico tradizionale, utilizzato in agricoltura sin dagli anni ‘60. La mutagenesi è infatti un metodo convenzionale, mai etichettato come pericoloso: si tratta di sottoporre i vegetali a radiazioni ionizzanti come raggi gamma e raggi X, che rompono il Dna e determinano un riassorbimento causale. Uno sparo nel buio. La cisgenesi invece è un incrocio mirato che trasferisce solo il carattere di interesse tra specie sessualmente compatibili. Quello che accadrebbe in natura col passaggio di polline da una varietà all’altra”.

 

“Vorrei sottolineare – continua la dottoressa Gentile – che queste tecnologie possono far sì che quella biodiversità di cui l’Italia è ricca e di cui tutti parliamo, non sia un museo da custodire ma venga finalmente valorizzata. Dobbiamo fare i conti col mercato e con quello che è di interesse del consumatore: se un vegetale ha un carattere di interesse ma non ne ha altri, verrà abbandonato. Con le Nbt possiamo invece farlo diventare un patrimonio di altre varietà”.

 

Le stesse considerazioni sono condivise dalla Società Italiana di Genetica Agraria e dalla Società Italiana di Biologia Vegetale, alle quali aderisce la grande maggioranza dei ricercatori italiani del settore: “Le piante che coltiviamo oggi sono il risultato di un lungo processo che, attraverso una serie di modificazioni genetiche, ha portato ad ottenere piante adatte ad alimentarsi in maniera completa, sana ed economica”. Se “per sviluppare piante migliori, molte mutazioni sono state introdotte con tecnologie dagli esiti casuali e poco prevedibili, ma le piante non sono sottoposte a regolamentazioni particolari”, non si capisce perché “la produzione di Ogm e il genome editing, più precisi e quindi prevedibili nei loro effetti, siano sottoposti a rigida regolamentazione” o vivano “ in uno stato di vuoto normativo”.

 

“In più di vent'anni non sono stati evidenziati pericoli specifici per la salute o l'ambiente associati alle piante ogm coltivate finora. Al contrario, spesso sono stati riscontrati effetti positivi per l'ambiente e l'economia”. Una posizione a cui fa eco quella dell’Esa, l’associazione europea delle industrie sementiere, allarmata dal fatto che la regolamentazione delle Nbt possa essere la “tomba dell’innovazione in Europa”.