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Il vaccino Sputnik funziona? Probabilmente sì, nonostante il pessimo lavoro di Lancet

Enrico Bucci

La rivista che si vorrebbe prestigiosa continua a pubblicare studi pieni di errori con ancor peggiori revisioni, creando un problema alla comunità scientifica e confusione nei lettori

Il vaccino russo Sputnik funziona più o meno come gli altri. Ne sono convinto, perché esso, sostanzialmente, consiste in una combinazione tra una dose corrispondente a un vaccino adenovirale cinese e una corrispondente alla singola dose di Johnson & Johnson. I problemi di produzione sono legati proprio al fatto di combinare due diversi vaccini in uno, con quel che ne consegue per la semplicità del processo ed il controllo di qualità; ma questo non vuol dire che l’idea, da un punto di vista scientifico, non sia valida, o che una volta ottenute le fiale, esse non debbano essere utili.

Faccio questa premessa, per illustrare cosa è accaduto ancora una volta, e sempre sulla rivista Lancet, che si vorrebbe prestigiosa: di nuovo è stato pubblicato un manoscritto su Sputnik, che non avrebbe dovuto passare nemmeno la revisione di un bambino, e di nuovo quindi, nonostante le aspettative mie e della comunità scientifica, non si forniscono dati credibili. In questo caso, si tratta di un lavoro prodotto in Argentina e quindi non vi è nemmeno da pensare che siano ragioni geopolitiche e di propaganda a portare alla pubblicazione rapida di certi strafalcioni: il fatto è che Lancet ci sta sempre più abituando a revisioni improvvisate, o forse addirittura mancanti, vista la qualità e quantità degli errori che si ritrovano sulle sue pagine patinate.

 

Vediamo insieme. Il lavoro, con un protocollo ben disegnato, si propone di valutare retrospettivamente l’efficacia della vaccinazione con Sputnik, ChAdOx1 (il vaccino di Astra Zeneca) e BBIBP-CorV (un vaccino cinese), a partire dall’incidenza di infezione e di morte per Covid-19 fra soggetti vaccinati e non vaccinati, tutti ultrasessantenni. Sono presi in considerazione molti fattori confondenti per correggere i potenziali errori che affliggono questo tipo di studi retrospettivi: età, sesso, comorbidità, provenienza geografica e molti altri. Alla fine, si conclude con il dato enfaticamente riportato da tanta parte della nostra stampa, che si affretta a strillare prima di controllare: il vaccino russo funziona nel prevenire la morte fra i soggetti esaminati altrettanto bene che il prodotto di Astra Zeneca, con una percentuale di efficacia (calcolata prima di Omicron) uguale o superiore al 93 per cento.

Bene: guardiamo dunque ai dati pubblicati da Lancet. Consideriamo, innanzitutto, la tabella che descrive la popolazione studiata. Tra i vaccinati con il prodotto cinese, troviamo 18.733 morti su 95.519 infetti nonostante il vaccino. Di questi morti, il 5.208 sono ultraottantenni, cioè, come riporta Lancet, il 27.8 per cento dei morti; il problema è che poco più sopra, troviamo che dei 18.733 morti totali 7.434 sono sessantenni, e questo corrisponde … di nuovo al 27.8 per cento dei morti, secondo l’autorevole rivista! Un perdonabile errore, direte voi. Continuiamo nella stessa tabella. Guardiamo alla distribuzione del sesso fra i vaccinati con Sputnik. Nella fascia di età 60-69 anni, troviamo il 49.7 per cento di donne, e … l’80.7 di uomini! Ok, il revisore era stanco. Andiamo avanti, sempre nella stessa tabella. Si danno gli individui, risultati positivi alla Pcr prima di iniziare lo studio, mostrando le percentuali per ogni fascia di età, per ogni vaccino. Per i casi di infezione fra i vaccinati con Sputnik, si legge 0.6, 0.3 e 0.2 per cento per le tre fasce di età comprese nello studio: ma la somma dovrebbe essere del 100 per cento, non essendoci altre categorie possibili! Continuando nella stessa tabella, scopriamo poi che, per il vaccino cinese, le percentuali corrispondenti agli individui di controllo delle varie fasce di età, vaccinati con una o con due dosi sono incomprensibili. In sostanza, nella singola tabella che dovrebbe rappresentare la popolazione studiata, vi è una tale sovrabbondanza di calcoli erronei, da dubitare che qualcuno vi abbia posto occhio.

Non finisce qui. Il lettore deve sapere che l’efficacia dei vaccini nel prevenire la mortalità è dimostrata nel lavoro attraverso alcuni grafici speciali, chiamati curve di Kaplan-Meier. Queste curve riportano nel tempo la probabilità di sopravvivenza per i non vaccinati e per i vari gruppi vaccinati con i diversi prodotti e a tempi diversi dalla vaccinazione con una o due dosi. Se si confrontano i grafici mostrati per Sputnik a quelli mostrati per Astra Zeneca, guardando alla figura E5 nei materiali supplementari, si scopre che le curve sono le stesse: i grafici appaiono semplicemente l’uno la copia dell’altro. Siccome il lavoro conclude che proprio la protezione dalla morte è molto simile fra Sputnik e Astra Zeneca, è chiaro che si tratta di un dato cruciale: dunque trovare clonati proprio i grafici in supporto di questa conclusione è un grave problema.

Sarebbe bello, alla luce di tutti i problemi evidenziati, poter avere accesso ai dati originali e verificare che, in tutti i casi, si tratti di errori dovuti a colpi di sonno e niente più; purtroppo, come Lancet ci ha ormai abituato, i dati originali non sono disponibili, nel senso che gli autori si riservano di fornirli tra 9 mesi – un parto, vien da dire.

A questo punto io mi chiedo: per quanto ancora dovremo assistere al massacro di una buona idea scientifica e di un prodotto probabilmente utile come Sputnik V, anche se di produzione complessa, da parte di pessimi manoscritti con ancor peggiori revisioni, pubblicati su riviste che si vantano di aver fatto la storia della medicina?

Per intanto, i lettori ed i giornalisti sono avvisati una volta di più: non prendete per oro colato ciò che è pubblicato dalle riviste scientifiche, specialmente su quelle che, avendo una storia alle spalle, credono che il loro prestigio permetta di scusare la mancanza di revisione seria in articoli della massima importanza.

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