AP Photo/Ahn Young-joon

Il Foglio salute

L'Asia si prepara alla variante Omicron

Luca Mazzacane

Non solo l'Europa. L’Oms ha chiesto di ottimizzare le capacità sanitarie anche dove la quarta ondata non è ancora arrivata: focus su Cina e India

L’Europa è impegnata a fronteggiare la quarta ondata di infezioni da Covid. Dall’altra parte del globo, l’Oriente invece si prepara ad affrontare la variante Omicron. Il 3 dicembre l’Organizzazione mondiale della sanità ha rilasciato un comunicato di avvertimento destinato ai paesi orientali, dove si pregano le nazioni di coinvolte di aumentare e ottimizzare, per quanto possibile, le proprie capacità sanitarie e strutturali. I governi di Cina e India sembrano essere quelli a cui viene richiesta una maggiore attenzione. Nonostante un nuovo declino degli spostamenti e dei transiti intercontinentali, dovuti alla variante Omicron, Nuova Delhi e Pechino rimangono punti fissi di contatto e scambio con il mondo occidentale.

 

Secondo il Chinese centre for disease control e la Peking University, se il governo di Xi Jinping decidesse di rimuovere le limitazioni vigenti sui transiti internazionali, potrebbe ritrovarsi a dover gestire circa 630.000 infezioni giornaliere da Covid. Questa condizione sembra però non essere semplicemente dovuta dall’arrivo della variante Omicron. La Cina, al momento, risulta fragile a causa della inefficiente copertura immunitaria risultante dalla inoculazione dei propri vaccini. Considerando l’attuale scenario, si comprende la costante politica di tolleranza zero cinese nei confronti del virus, che rimane l’unica condizione esperibile. Se Pechino, infatti, sposasse la strategia britannica dell’immunità di gregge, secondo lo studio sopracitato, si raggiungerebbe una media di 275.793 casi di infezione giornaliera. Urge ad ogni modo considerare che lo studio pubblicato si fonda su calcoli matematici e proiezioni algoritmiche, mentre, come specificato dagli stessi fautori dello studio, servirebbe incrociare questi risultati con modelli analitici più sofisticati per avere un quadro più realistico della situazione.

 

Nel caso indiano, il contesto è diverso e le emergenze potrebbero risultare maggiormente dal comportamento umano. Secondo il ministro della Salute indiana, si prevede che la nuova variante avrà un’incidenza minore grazie alle vaccinazioni effettuate e la precedente massiva esposizione della popolazione alla variante Delta, che ha contagiato circa il 70 per cento dell’intera nazione. Il problema indiano, infatti, sembrerebbe essere legato all’organizzazione e alla strutturazione della sanità nazionale. Il paese è a corto di forza lavoro medica da inserire negli ospedali. Si parla quindi di una vera e propria corsa contro il tempo perché, nonostante le parole del ministero, urge continuare il ciclo di inoculazione prima dell’arrivo di una nuova ondata, la terza per l’India. Analogamente a quanto visto in Europa durante la fase più critica della pandemia, si vorrebbe autorizzare l’accesso in reparto dei medici neolaureati. La richiesta, inoltrata dai medici e gli studenti stessi, non sta trovando il riscontro positivo del governo, il quale però deve affrontare un altro grave problema che ha scatenato uno sciopero. Alcuni medici del sistema sanitario pubblico indiano non stanno ricevendo il proprio stipendio, a testimonianza del difficile momento che il governo  sta affrontando. Nonostante lo sciopero coinvolga più di 10 mila medici del servizio sanitario nazionale, per il momento questi sembrano disposti a continuare a fornire i propri servizi per i reparti Covid e di emergenza. Il rischio quindi, alla luce della sospensione di tutti i servizi sanitari routinari e non emergenziali, è un ingolfamento del sistema sanitario nazionale che negherebbe al paziente la continuità della cura e delle funzioni di medicina preventiva, oltre a porre a rischio i pazienti cronici o di malattie rare. Una condizione che, non per colpa di scioperi, in Italia abbiamo ampiamente potuto saggiare.

 

Nel resto dell’Asia il quadro rimane uniforme. Molti governi, come quello giapponese e vietnamita, hanno nuovamente ristretto le possibilità di transito e di viaggio intercontinentale. La Corea del Sud ha sancito l’obbligatorietà del passaporto vaccinale per l’accesso a diversi luoghi pubblici. Solo Singapore e Malesia hanno mantenuto i propri transiti attivi, ma solo per individui vaccinati. L’approccio di estrema cautela non sembra comunque ricevere accondiscendenza dall’Oms, che ha specificato che la chiave di volta per contrastare la variante Omicron è rappresentata dalle vaccinazioni e non dalle restrizioni di viaggio, che rischiano di bloccare la fase di recupero economico post pandemico in cui la regione era effettivamente entrata nel mese di novembre.

Di più su questi argomenti: