Cattivi Scienziati

I dati su Omicron: più ospedalizzati, ma con problemi meno seri

Enrico Bucci

Il paragone tra variante Omicron e Delta nel caso del Sudafrica: il tasso di ospedalizzazioni e di ricoveri in terapia intensiva diminuisce drasticamente, ma aumenta il numero di contagi. Questo scenario può verificarsi anche in Italia? Dipenderà soprattutto dal numero dei vaccinati

Quali sono le conseguenze cliniche dell’infezione con la variante Omicron? Con quali probabilità queste occorrono? Sono due domande molto diverse. La prima variabile – il tipo di malattia indotta – influenza in maniera diretta il grado di preoccupazione che la variante Omicron susciterà. Una malattia con sintomi più lievi significa che, in barba a infettività e immunoevasione, possiamo preoccuparci di meno. La seconda probabilità invece ha un’influenza più sottile: un’infezione molto raramente letale, più raramente che nel caso attuale, è infatti in grado di creare ugualmente molti problemi, se un virus è più trasmissibile dell’attuale e in aggiunta immunoevasivo. Non abbiamo ancora una risposta definitiva a nessuna delle domande presentate; però c’è qualche indizio che vale la pena di discutere.

Variante Omicron, in Sudafrica più ospedalizzazioni ma meno gravi

Questa base di discussione proviene dal confronto fra la terza ondata che ha colpito il Sudafrica (quella guidata dalla variante Delta) e l’ondata attuale (guidata dalla Omicron) in quelle località ove sappiamo che la variante Omicron è il grosso delle infezioni attuali. In breve, se si allinea l’inizio della terza e della quarta ondata si nota che, per la stessa popolazione, i casi ogni centomila abitanti salgono molto più rapidamente a seguito della comparsa della variante Omicron, e questo effetto non si spiega con variazioni del numero di tamponi effettuati nei due periodi. Soprattutto – questo è il punto importante – la percentuale di ospedalizzazione dei positivi appare molto più bassa, e ancora più bassa appare nel paragone fra la Delta e la Omicron la percentuale di ricoveri in terapia intensiva.


Nel frattempo, possiamo osservare che anche in Inghilterra la nuova variante sta causando una rapida risalita dei casi; quanto questo sia dovuto alle proprietà di più alta trasmissibilità, di maggiore immunoevasione o alla combinazione di entrambe le categorie, non è ancora dato saperlo. Il risultato finale, comunque, come si nota dai dati provenienti dal Gauteng – l’epicentro dell’epidemia di Omicron in Sudafrica – è che, sebbene il tasso di ospedalizzazione dei positivi sia minore rispetto a quanto osservato nella variante Delta, il numero di ospedalizzazioni per settimana è maggiore, perché la platea di positivi è molto più ampia a causa della rapida diffusione di Omicron. Al momento, quindi, le notizie che cominciano ad arrivare sono buone per gli individui – minore probabilità di conseguenze serie – ma peggiori per il sistema sanitario – un maggior numero di ospedalizzazioni, dovuto alla vertiginosa crescita dei positivi totali.


Possiamo estrapolare questo dato, proveniente da una nazione poco vaccinata ma con moltissime infezioni pregresse, e ipotizzare che possa replicarsi anche in altri paesi molto più vaccinati, ma con un tasso di infezioni pregresse molto minore, come l’Italia? Non è detto, perché l’infezione naturale potrebbe avere proprietà di protezione clinica minori o maggiori rispetto ai vaccini. Inoltre, resta da vedere cosa succederà quando la variante Omicron incontrerà una popolazione molto più anziana di quella africana: il risultato netto dipenderà soprattutto dal reale tasso di evasione della risposta immune stimolata da infezioni pregresse e vaccini.


Ecco perché, avendo ottenuto ormai dati preliminari che indicano come la terza dose sia maggiormente protettiva anche dalla Omicron rispetto alla seconda, il richiamo è particolarmente urgente, a partire dagli individui più anziani e vaccinati prima. Non sappiamo quanto la protezione da terza dose durerà, ma sappiamo che senza sarà probabilmente molto peggio.

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