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Le cure domiciliari per il Covid non sono tutte uguali

Giovanni Rodriquez

Non è vero, come sostengono alcuni gruppi di medici, che il protocollo stilato dal ministero della Salute per curare il Covid a casa preveda solo tachipirina e vigile attesa. Più che altro non cede alle bufale come l'uso di idrossiclorochina e ivermectina

Sulle cure domiciliari per il Covid si sta creando un’allarmante confusione. Un confusione alimentata da quei gruppi di medici – spesso specializzati in medicine cosiddette “alternative” quali omeopatia, medicina antroposofica o nutripuntura – che, ospitati nei giorni scorsi in un convegno al Senato grazie all’intervento della Lega, diffondono il messaggio che dal Covid si può guarire a domicilio “nel 100 per cento dei casi”, basta prendere in carico le persone entro quattro giorni dalla comparsa dei sintomi. 

La terapia domiciliare di questi medici si base sulla prescrizione di diversi farmaci, alcuni dei quali off-label (ovvero per fini terapeutici diversi e non previsti rispetto a quelli autorizzati e indicati foglietto illustrativo), come ad esempio l’ivermectina (l’antiparassitario per cavalli che va tanto di moda in questi gruppi). Non a caso, prima di poter ottenere questa terapia, il paziente è tenuto a firmare una liberatoria per sollevare il medico da “ogni responsabilità civile, penale e morale per effetti collaterali che dovessero conseguire all’applicazione del suddetto approccio terapeutico”, in particolare per le prescrizioni off-label di idrossiclorochina, ivermectina e colchicina. Contestare questo approccio terapeutico, caratterizzato tra l’altro dalla totale assenza di dati circa la sua presunta efficacia, si è trasformato nel negare le cure a domicilio ai pazienti affetti da Covid. Al punto che, su social e tv si sente ribadire sempre più il solito mantra: “Sempre meglio di tachipirina e vigile attesa come proposto dal ministero della Salute”.

Ovviamente, anche in questo caso, ci troviamo di fronte all’ennesima sciocchezza. Chi sostiene questa tesi non ha mai perso neanche due minuti del proprio tempo per verificare sul sito del ministero della Salute come stiano davvero le cose. Qui si trova facilmente la circolare del 26 aprile 2021 con la quale si aggiornano le linee guida per le cure domiciliari dei pazienti Covid precedentemente redatte e pubblicate con la circolare del 30 novembre 2020. Il documento, ovviamente, non si limita a proporre “tachipirina e vigile attesa”, ma nelle sue 24 pagine consiglia, ad esempio, il ricorso a un trattamento di tipo sintomatico con paracetamolo o Fans (farmaci antinfiammatori non steroidei) in caso di febbre o dolori articolari o muscolari, a meno che non esista chiara controindicazione all’uso, e di valutare nei pazienti a rischio di progressione di malattia la possibilità di trattamento precoce con anticorpi monoclonali da parte delle strutture abilitate alla prescrizione. 

Al contempo, si dice di non utilizzare idrossiclorochina, “la cui efficacia non è stata confermata in nessuno degli studi clinici randomizzati fino ad ora condotti”. Viene inoltre segnalato come, a oggi, non esistano “evidenze solide e incontrovertibili (ovvero derivanti da studi clinici controllati) di efficacia di supplementi vitaminici e integratori alimentari (come vitamine, inclusa vitamina D, lattoferrina, quercitina), il cui utilizzo per questa indicazione non è, quindi, raccomandato”. Sì, perché tra le cure domiciliari proposte da queste associazioni trovano spazio anche questi micronutrienti che, come affermato nel corso del convegno al Senato, svolgerebbero un importante ruolo di contrasto al Covid.

Ma la parte forse più divertente è quando, per dar credito alle loro teorie, questi gruppi chiamano in causa l’Istituto Mario Negri per rimarcare l’importanza delle cure domiciliari. Peccato che proprio il direttore dell’Istituto, il prof. Giuseppe Remuzzi, in alcune interviste nei mesi scorsi abbia spiegato come l’approccio a domicilio proposto dal Mario Negri si basi, ad esempio, sul ricorso a Fans e anticorpi monoclonali: esattamente come previsto dalle linee guida del ministero della Salute. Di contro, Remuzzi era molto più che cauto sull’utilizzo dell’ivermectina: “L’Ivermectina sarebbe sì in grado di bloccare la replicazione del Sars-CoV-2 ma solo utilizzandolo a concentrazioni troppo elevate rispetto a quelle raggiunte con le dosi attualmente autorizzate, causando quindi una certa tossicità”, diceva Remuzzi. Guarda caso lo stesso alert di tossicità lanciato di recente negli Stati Uniti dall’ente regolatorio per i farmaci, la Food and drug administration (Fda), oltre che dai Centers for Disease Control and Prevention a seguito del quintuplicarsi degli accessi nei centri antiveleni statunitensi proprio a causa dell’assunzione di ivermectina per trattare il Covid. “Non siete cavalli. Non siete mucche. Seriamente, smettetela”, ha twittato recentemente la Fda. Perciò attenzione alle bufale, nuocciono gravemente alla salute.

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