(foto Ansa)

Il green pass alla francese si può importare in Italia?

Giovanni Rodriquez

Dati, tamponi, verifiche. Risposte alle obiezioni al certificato sanitario modello Macron

Il modello di utilizzo del green pass alla francese si può importare in Italia? La maggioranza al momento appare divisa tra chi spinge per un suo uso più estensivo e chi invece propone di limitarlo ai grandi eventi. E già su quest’ultimo punto è doveroso fare una precisazione. Già oggi la Certificazione verde digitale Covid-19, come sottolineato dal ministero della Salute, viene utilizzata per “facilitare la partecipazione a eventi pubblici (come fiere, concerti, gare sportive, feste in occasione di cerimonie religiose o civili), l’accesso alle strutture sanitarie assistenziali (Rsa) e gli spostamenti in entrata e in uscita da territori eventualmente classificati in zona rossa o zona arancione”.  Chi quindi propone un suo uso limitato ai grandi eventi non fa altro che ribadire quanto già previsto dalla normativa vigente. 

Utilizzare il green pass, come in Francia, per disciplinare anche l’accesso ai luoghi pubblici e culturali, come teatri o cinema – ma anche bar, ristoranti, treni e aerei – secondo alcuni potrebbe generare problemi di privacy per la gestione dei dati. Va però ricordato che ormai da oltre un anno le linee guida per le riaperture hanno raccomandato per ristoranti, cerimonie, rifugi escursionistici, ostelli, piscine, parrucchieri, estetisti, tatuatori, circoli culturali e ricreativi, congressi e fiere, parchi divertimento e stabilimenti balneari il mantenimento di un registro delle presenze con i dati personali da dover mantenere per una durata di 14 giorni. 

Se dunque a oggi non sono stati posti problemi di privacy per la raccolta e conservazione di nominativi e numeri di telefono, non è chiaro quale profilo di criticità dovrebbe avere in termini di privacy il green pass, dal momento che questo si limita a riportare un Qr code che ne verifica autenticità e validità, attestando una delle seguenti condizioni: la vaccinazione contro il Covid-19; l’esito negativo di un tampone effettuato nelle ultime 48 ore; la guarigione dall’infezione. 

 

Altra obiezione posta riguarda il ruolo dei verificatori. Molti ristoratori, ad esempio, dicono di non essere pubblici ufficiali e di non poter quindi svolgere questo ruolo. In realtà già oggi il Dpcm del 17 giugno prevede che anche i soggetti titolari di strutture ricettive e pubblici esercizi, nonché proprietari e legittimi detentori di luoghi o locali per l’accesso ai quali è prescritto il possesso del green pass sono autorizzati alla verifica. Se venisse quindi esteso l’utilizzo della certificazione anche per l’accesso a questi luoghi, verrebbe anche loro riconosciuta la facoltà di verifica.

Un problema più concreto è rappresentato dal costo dei tamponi ai quali sarebbero costretti a ricorrere non solo gli scettici verso i vaccini, ma anche chi non ha ancora potuto prenotarsi o, da prenotato, è in attesa di somministrazione. Limitare l’accesso a luoghi soggetti a frequentazione quotidiana, come ad esempio i bar, a chi è economicamente in grado di sostenere il prezzo dei tamponi ha sicuramente un carattere discriminatorio che andrebbe in qualche modo superato. Si deve poi tener conto anche della forte oscillazione dei prezzi dei tamponi tra le diverse regioni. Un’ipotesi può essere quella di prevedere una norma transitoria che permetta un accesso gratuito, o almeno a un prezzo scontato, per un certo numero di tamponi a persona. 

Considerando che, secondo i piani del governo, già a fine settembre si punta a raggiungere l’80% dei vaccinati, si potrebbe ipotizzare una misura che agevoli economicamente l’accesso ai tamponi per i prossimi tre mesi, ossia fino a quando con l’aumento delle forniture sarà stato possibile offrire la vaccinazioni a tutti gli italiani che ne fanno richiesta. Fino a quel momento, si può prevedere la gratuità o un prezzo ridotto per i tamponi tenendo però conto del dato anagrafico. Andando cioè ad agevolare chi per età non si è potuto ancora sottoporre a vaccinazione rispetto a quanti, invece, hanno deliberatamente deciso di non aderire alla campagna vaccinale. Altrimenti la previsione di test gratuiti potrebbe funzionare paradossalmente quasi da disincentivo al vaccino per quegli over 60 che non si sono ancora prenotati pur avendone avuto l’opportunità.

 

La scelta di un utilizzo più estensivo del green pass permetterebbe tra l’altro di mantenere una certa libertà di vita sociale in sicurezza anche alla luce della crescita dei contagi sospinti dalla variante Delta. Si andrebbe così ad accompagnare alla vaccinazione quell’elemento di filtraggio rappresentato dai tamponi. Combinando protezione e filtraggio si potrebbe evitare di dover registrare nuove chiusure e restrizioni in futuro. E in tal senso, anche sotto il profilo economico, per lo stato gestire l’eventuale costo dei tamponi potrebbe esser ben meno costoso di potenziali nuove chiusure di attività economiche.

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