Manifestazione no vax a Roma, lo scorso maggio (Ansa)

cattivi scienziati

Sui vaccini il diritto alla libertà colpisce i più deboli. Uno studio

Enrico Bucci

Il virus in circolazione mette in pericolo quei soggetti che, pur essendo vaccinati, rientrano tra i non-responder e quindi corrono in ogni caso il rischio di ammalarsi

Una settimana fa, è stato pubblicato un nuovo studio in esito alle osservazioni che provengono da quel gran laboratorio vaccinale che è diventato Israele. Lo studio è di particolare rilievo, perché si è andati a caratterizzare 152 soggetti che, nonostante avessero ricevuto due dosi di vaccino Pfizer, a distanza di tempo dalla seconda dose si sono ammalati anche gravemente di Covid-19, fino in qualche caso a morirne. Stiamo cioè parlando di quella categoria detta dei “non responder”: quelle persone che, poiché il vaccino – come tutto – non ha un’efficacia del 100 per cento, si ammalano comunque di Covid-19. Si tratta di un numero di casi attesi che è intorno al 5 per cento dei casi che si verificano tra i non vaccinati, se si considerano gruppi di eguale dimensione.

 

La domanda più importante cui lo studio tenta di rispondere è la seguente: ci sono delle condizioni che possono essere predisponenti alla cattiva risposta al vaccino? Se ci sono, naturalmente, la proporzione di soggetti in tali condizioni tra i pochi malati dopo il vaccino deve essere maggiore di quella che si osserva tra i moltissimi malati non vaccinati. Dunque vediamo: dallo studio risulta che il profilo clinico dei pazienti è tipico dei ricoverati Covid-19. Si tratta soprattutto di maschi anziani e con alti tassi di comorbilità. Tuttavia, le comorbilità nei malati vaccinati sono risultate molto più comuni rispetto a pazienti ospedalizzati non vaccinati. Come riportato dagli autori, è il caso del diabete (48 per cento contro 27,9-34,7 per cento), dell’ipertensione (71 per cento contro 43,5-62 per cento), dell’insufficienza cardiaca (28 per cento contro 5,8-12,8 per cento), delle malattie polmonari croniche (24 per cento contro 7,4-16,5 per cento), di malattia renale cronica (32 per cento contro 12,7-22,8 per cento) e del cancro (24 per cento contro 4,8-10,8 per cento).

 

Ora, secondo gli autori, il tasso di comorbilità superiore negli infetti da Sars-CoV-2 dopo il vaccino potrebbe essere spiegato da una minore efficacia del vaccino nei pazienti con comorbilità, dal rischio di esacerbazione delle comorbilità dopo l’infezione o da entrambi; tuttavia, se la comorbilità si esacerbasse dopo l’infezione, ciò dovrebbe valere con o senza vaccino, per cui si può propendere per il primo caso – alcune comorbilità sembra che influenzino la risposta al vaccino. Un fattore parzialmente in grado di spiegare questo dato è l’immunosoppressione, risultata comune nei pazienti studiati, di cui il 40 per cento era immunosoppresso perché trattato con un corticosteroide, chemioterapia, trattamenti anti-CD20 o con altri immunosoppressori in quanto soggetti riceventi di trapianto. Questo fatto è in accordo con i risultati di immunogenicità inferiore dopo la vaccinazione negli individui immunocompromessi. 

 

Ora, il dato presentato dagli Israeliani, oltre ad essere utile in sé per valutare quali soggetti fra i vaccinati siano a rischio residuale di infezione, dovrebbe far riflettere tutti. Questi soggetti si ammalano e muoiono (1 su 5 fra gli ospedalizzati, nello studio israeliano) nonostante, vaccinandosi, abbiano fatto la scelta giusta; essi però sarebbero comunque proteggibili attraverso il raggiungimento dell’immunità di comunità, se altre persone non rifiutassero invece il vaccino. Per questo, chi nel valutare la vaccinazione mette in conto solo il rischio che corre personalmente, al netto della propria fascia di età e delle sue condizioni, fa i conti senza l’oste, dimenticandosi che il virus in circolazione mette a rischio di vita soggetti che, pur essendo vaccinati, rientrando tra i non-responder finiscono in ospedale o al camposanto.

 

Il tutto vale a maggior ragione se chi decide di non vaccinarsi è un professionista sanitario o un soggetto esposto a molti contatti come un insegnante, e quindi può fungere da hub per la propagazione del virus nella comunità. Tutte le morti e le ospedalizzazioni tra i vaccinati, dovute alla loro reinfezione da parte di soggetti non ancora vaccinati (visto che il rischio di trasmissione da un vaccinato è incomparabilmente minore) sono un effetto dell’egoismo di chi crede di tutelare la propria libertà di scelta senza valutare le conseguenze per gli altri; e come, durante la prima ondata, a far le spese di chi negava l’esistenza o la pericolosità del virus sono stati anziani e malati, allo stesso modo e probabilmente per causa degli stessi soggetti ciò accadrà anche tra i vaccinati, seppure per fortuna in un numero incomparabilmente minore. Saranno sempre i più deboli a essere colpiti, in nome di una malintesa difesa del diritto di scelta, del diritto di cura e persino del diritto alla privacy.

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