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Cattivi scienziati

Ecco la variante indiana, ma non ne sappiamo ancora abbastanza

Enrico Bucci

Le sue mutazioni principali, in altre varianti, hanno conferito maggior infettività al virus e resistenza ai vaccini. Ma in attesa di dati decenti sarebbe il caso di tacere

Ancora una volta, siamo qui a preoccuparci per l’inevitabile: da qualche parte del mondo si è identificata una nuova varietà del virus, e, dopo un po’, la stessa varietà si identifica in qualche campione nel nostro paese.

 

E allora, vediamo di fare chiarezza, a cominciare dalle parole. Proviamo ad accantonare la definizione di “mutante indiano”, sia perché tutti i virus sono mutanti di qualche versione precedente, sia perché non è affatto detto che questo ceppo si sia differenziato in India. Useremo, da adesso in avanti, il termine “variante”; perché “mutante”, oltre che attirare l’attenzione su una cosa sbagliata – quasi come se finora fosse esistito un virus “naturale” stabile, che sia improvvisamente mutato in qualcosa di peggiore – sia perché questo è il termine ufficiale utile a designare entità genetiche diverse nell’ambito di una certa specie virale.

 

La variante, per la precisione, è la B.1.617; impropriamente, si dice che questa porta due mutazioni, anche se in realtà le mutazioni sono di più. Quelle a cui di solito ci si riferisce sono i due cambiamenti che si osservano nella proteina spike, noti  in questa variante come L452R (presente anche nella cosiddetta variante della California) ed E484Q, simile alla mutazione nelle cosiddette varianti brasiliana e sudafricana (che portano la mutazione E484K). Queste sono le due mutazioni “famose” che si trovano in B.1.617; ma ce ne sono anche altre 11, e quindi è improprio riferirsi ad un “doppio mutante”, non solo per il termine mutante, ma anche per l’aggettivo doppio.

 

Ora, in laboratorio la mutazione L452R è stata trovata conferire maggiore infettività al virus – sia perché, in laboratorio, sembra capace di aumentare il numero di copie virali che si generano, sia perché in California è risultata circa del 20 per cento più trasmissibile della media delle altre varianti circolanti.

 

Inoltre, è stato dimostrato che la mutazione E484K, molto simile alla mutazione presente nella variante in questione, è meno neutralizzabile da tutti i vaccini disponibili, e più presente nei casi di reinfezione dopo vaccinazione; questo induce a pensare che quindi anche per la variante di cui si discute tanto in questi giorni si possa avere una maggiore immunoevasione.

 

Le cose che sappiamo, con solidità diversa, si fermano qui. Non sappiamo se davvero questa variante si propaga più rapidamente nella popolazione; non sappiamo se vi sono differenze dal punto di vista della malattia indotta; non sappiamo quanto davvero i vaccini diano copertura nel mondo reale; non sappiamo nemmeno in che quantità questa variante stia circolando nel nostro paese. Da questo punto di vista, si farebbe meglio a tacere per un po’, in attesa di dati decenti.

 

Sappiamo, invece, che abbiamo una sorveglianza genomica ridicola, e che quindi ci accorgeremo sempre in ritardo di nuove varianti, e soprattutto fino all’ultimo non capiremo se e quanto sono in espansione; e sappiamo che non abbiamo nessuna capacità di isolare e testare rapidamente in virus le nuove varianti, in un processo routinario di sorveglianza che la comunità scientifica chiede da ormai un anno.

 

Sappiamo, infine, che continueremo a finanziare la ricerca nazionale in maniera ridicola, anche nel nuovo Pnrr; e quindi, è inutile chiedere ai nostri ricercatori di dare risposte, perché non li stiamo mettendo nelle condizioni di poter rispondere.

 

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