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La seconda ondata in India impatta sul programma globale Covax

Luciano Capone

E' il risultato di concentrare la produzione di vaccini in un solo paese, affidandosi a un unico fornitore, e di sottovalutare l'importanza di una coordinata risposta a livello internazionale

La seconda ondata di Covid in India è arrivata come uno tsunami: il sistema sanitario è al collasso, mancano posti letto e bombole d’ossigeno, all’ingresso degli ospedali ci sono code sterminate di pazienti e file analoghe ci sono all’uscita degli ospedali per la difficoltà a smaltire i cadaveri. La curva epidemica è in crescita esponenziale e nei giorni scorsi ha toccato il record globale di casi, oltre 300 mila al giorno, e quello di decessi per il paese, oltre 2 mila al giorno. Una delle preoccupazioni è legata all’emersione di una nuova variante, detta appunto “indiana”, ormai dominante in alcune regioni, che ha una doppia mutazione e pare essere più contagiosa. 


La drammatica situazione indiana sta avendo una ricaduta globale, in particolare sui paesi più poveri, anche su un altro fronte: i vaccini. L’India è infatti il principale paese fornitore di Covax (Covid-19 Vaccine global access), il programma internazionale creato nel giugno 2020 dall’Oms insieme al Cepi (Coalizione internazionale per la lotta contro le epidemie) e alla Gavi Alliance per garantire un accesso equo ai vaccini ai paesi più poveri. E, a causa dell’emergenza epidemica, l’India ha deciso di bloccare l’export di vaccini per privilegiare il mercato domestico. Questo ha portato a un rallentamento delle consegne verso i paesi in via di sviluppo. “Il programma prevede poco più di 250 milioni di dosi da distribuire nel primo semestre in 146 paesi partecipanti”, dice al Foglio Tania Cernuschi, direttrice del gruppo per l’accesso globale ai vaccini del dipartimento di Immunizzazione dell’Oms. Complessivamente, Covax ha siglato contratti per consegnare in tutto il mondo almeno 2 miliardi di dosi nel 2021. L’idea era quella di affrontare la pandemia con una distribuzione equa dei vaccini a livello globale, unendo un meccanismo di solidaristico per cui le quote dei 92 paesi più poveri sono finanziate da paesi più ricchi e donatori. Ma il programma globale si è inceppato. “Ci sono stati dei ritardi a marzo-aprile, dovuti al taglio delle forniture da parte dei produttori, in particolare il Serum Institute of India”, dice Tania Cernuschi.  

 

Uno dei problemi del programma, infatti, è che si basa quasi integralmente sul vaccino di AstraZeneca, che ha appoggiato Covax sin da giugno 2020. Il vaccino di Oxford rappresenta circa il 95 per cento delle dosi consegnate (il 5 per cento è Pfizer/Biontech), di cui un terzo fornito da AstraZeneca e due terzi dal Serum Institute of India che produce su licenza il vaccino anglo-svedese (nome commerciale Covishield).  E’ evidente che, con il blocco all’export imposto a marzo dal governo indiano, il resto del mondo è rimasto senza vaccini. Covax è finora arrivata in tantissimi paesi – 118 in tutto mondo, dalle isole Fiji alla Nigeria – ma ha potuto distribuire appena 40,5 milioni di dosi: è evidente che l’obiettivo di 250 milioni di dosi entro maggio è irraggiungibile. Il piano prevedeva che il Serum Institute of India, il più grande produttore mondiale di vaccini, avrebbe dovuto inviare oltre 100 milioni di dosi tra febbraio e maggio ma finora  ha consegnato solo 19,8 milioni di dosi. Questi dati rendono ancora meno credibile i termini del contratto che prevede, dal solo stabilimento indiano, la consegna di 1,3 miliardi di dosi. Covax sta chiedendo il rispetto dei patti, ma di fronte a un’emergenza di tale portata l’India non intende esportare vaccini.

 

Questo caso mostra da un lato quanto sia rischioso concentrare la produzione in un solo paese e affidarsi a un unico fornitore, dall’altro come prevalgano le risposte nazionali a un problema che necessita di una risposta coordinata a livello internazionale. Naturalmente non è solo responsabilità dell’India, ma anche dell’Occidente. Ad esempio gli Stati Uniti hanno messo molti soldi in Covax (4 miliardi di dollari), ma neppure un vaccino. Washington ha decine di milioni di dosi AstraZeneca che non usa e non esporta. Paradossalmente, una mano ai paesi più poveri può ora arrivare dai rari eventi avversi legati al vaccino AstraZeneca. Se, come pare, Stati Uniti e Unione Europea intendono puntare sui vaccini a Rna rinunciando a quelli adenovirali, questi ultimi potranno essere indirizzati verso i tanti paesi che ne hanno bisogno.
 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali