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COMBATTERE LA DISINFORMAZIONE

Una campagna di immunizzazione dalle fake news sui vaccini anti-Covid

Matteo Motterlini e Folco Panizza*

Per contrastare la diffusione di notizie false o pseudoscientifiche serve una "vaccinazione cognitiva" contro gli antivaccinisti

Con l’approvazione del vaccino Pfizer e quella imminente del vaccino Moderna da parte dell’Agenzia europea del farmaco (Ema) si pone, anche nel nostro paese, l’urgente questione di realizzare una campagna di informazione che affianchi quella di immunizzazione. Secondo l’Oms, la disinformazione è uno degli ostacoli principali alla necessaria adesione di massa alla vaccinazione. Un recente report della Royal Society for Public Health sui vaccini dell’infanzia mostra che sui social media quasi un genitore su due guarda contenuti che alimentano le paure sugli effetti collaterali dei vaccini. A offrire terreno fertile per la disinformazione contribuisce anche la sfiducia verso le case farmaceutiche e le istituzioni: un sondaggio IpsosMori rileva che solo il 48 per cento dei britannici pensa che le compagnie farmaceutiche agiscano nell’interesse dei cittadini, mentre un recentissimo studio su Nature Medicine mostra che, indipendentemente dalla nazionalità, una minore fiducia nel governo si riflette in una maggiore esitazione a vaccinarsi. Non sorprende quindi che nei sondaggi più recenti siano molti gli scettici e ancora di più gli indecisi, addirittura in aumento rispetto a quest’estate (complessivamente circa il 37 per cento degli italiani, secondo una rivelazione Quorum/YouTrend). Dal sito Tecnica della Scuola si apprende che quattro insegnanti su dieci affermano di non volersi vaccinare e l’Economist ipotizza uno scenario simile per chi opera nel sistema sanitario.

 

Sebbene nelle prime fasi della campagna di vaccinazione gli effetti della disinformazione saranno verosimilmente minori (vista la scarsità delle dosi disponibili), sul medio e lungo periodo rischiano di ostacolare significativamente il raggiungimento dell’immunità di gregge. Come contrastare il problema? Le scienze comportamentali suggeriscono alcune soluzioni che hanno già dato buona prova di sé in altri contesti. Per cominciare dai social network, dove le notizie false trovano il terreno più fertile, Facebook si è già impegnata a rimuovere informazioni scorrette o fuorvianti sui vaccini che siano state screditate dalle organizzazioni competenti e ha introdotto sulle pagine web che trattano di vaccini un link che rimanda direttamente al sito dell’Oms. Per le recenti elezioni presidenziali americane, Twitter ha sperimentato un sistema di avvisi per segnalare le affermazioni non verificate; lo stesso si potrebbe fare, ora, per la campagna di vaccinazione contro il Covid-19. E’ noto inoltre che, se ci sono ragionevoli possibilità di successo nel rassicurare chi è dubbioso, cercare di convincere chi è ideologicamente contrario all’evidenza scientifica (i cosiddetti no-vax) è invece una perdita di tempo. Per prevenire gli effetti della disinformazione sugli indecisi la pratica più efficace è quella della demistificazione (debunking): confutare metodicamente affermazioni false o pseudoscientifiche. Ciò è fondamentale per correggere convinzioni errate sui vaccini e per assicurarsi che nozioni false non riemergano successivamente nonostante siano già state smentite. Occorre però tenere conto – come osserva uno studio pubblicato su Science – che smontare affermazioni false richiede tempo e risorse, mentre le voci infondate proliferano velocemente e quasi senza sforzo. L’iniziativa di Facebook di cancellare contenuti falsi potrebbe perciò arrivare comunque troppo tardi, a giochi fatti, quando la disinformazione si è già ampiamente propagata.

 

Una soluzione potrebbe essere il cosiddetto crowdsourcing, ovvero il reclutamento di utenti dei social network per fare una sorta di debunking istantaneo. Una promettente ricerca del Mit indica che sarebbe sufficiente il parere di meno di trenta persone per valutare il titolo di un articolo con la stessa precisione di un verificatore professionale, il tutto nel giro di pochi minuti. Un altro genere di interventi mira sulla prevenzione: etichettare un post, un tweet o un’immagine come “non verificati” aumenta l’attenzione degli utenti verso l’effettiva veridicità del loro contenuto. Per fake news di natura politica, per esempio, si è visto che tale strategia porta a una riduzione della condivisione di contenuti falsi fino al 15 per cento. Un esperimento condotto su Twitter (in corso di pubblicazione) suggerisce che sia sufficiente un semplice promemoria per indurre le persone a focalizzarsi sull’accuratezza delle informazioni e ridurre notevolmente la condivisione di notizie false. Un altro modo di prevenire la disinformazione sui social consiste nel fornire agli utenti alcuni strumenti per riconoscere i contenuti falsi. Si tratta di “immunizzare” gli utenti contro le tecniche di disinformazione più comuni, presentando loro una versione semplificata di tali strategie e spiegando perché si tratti di informazioni non affidabili. Una sorta di “vaccinazione cognitiva” contro anti-vaccinisti. L’immunizzazione dalle fake news è stata recentemente studiata tramite un gioco online finalizzato al riconoscimento delle notizie false su Twitter: i risultati, replicati in cinque nazioni e lingue diverse, confermano che chi impara a riconoscere le trappole della disinformazione condivide anche meno contenuti falsi. E, sempre su questa linea, uno studio condotto tra Stati Uniti e India indica che presentare una breve lista di istruzioni su come valutare l’accuratezza di un articolo aumenta la capacità di discriminare tra notizie false e vere fino al 26,5 per cento.

 

Un’altra categoria di interventi per contrastare la disinformazione riguarda la trasparenza. Un’informazione trasparente aiuta a dissipare i dubbi e a prevenire le strumentalizzazioni indotte da messaggi tendenziosi. Una recente rassegna su venticinque anni di ricerca circa l’attività dei governi in vari ambiti indica che politiche più trasparenti portano un più alto grado di coinvolgimento e di soddisfazione tra i cittadini. Anche riguardo al nuovo vaccino, quindi, servirebbero dati e informazioni facilmente accessibili e fruibili da chiunque per quanto riguarda la loro modalità di somministrazione, l’efficacia e le possibili reazioni avverse. Occorre inoltre trasparenza su quello che ancora non sappiamo, come la durata effettiva della copertura vaccinale e alcuni potenziali effetti a lungo termine. La conoscenza scientifica, quando in divenire, non offre necessariamente certezze. Occorre essere franchi anche quando i dati a disposizione sono incompleti e i risultati provvisori. E spiegare che, per quanto fallibili, le “certezze” che offre la scienza sono le migliori a nostra disposizione. Infine, come ricorda un recente studio su The Lancet, per combattere la disinformazione è necessario essere dei buoni ascoltatori. Per questo sarebbe utile la creazione di uno spazio unico e ben pubblicizzato dove poter rispondere ai dubbi e alle preoccupazioni più frequenti, così come la realizzazione di canali di comunicazione facilitati con il sistema sanitario, come una linea telefonica dedicata, servizi di messaggistica e risposte sui social network, come già avviene per il servizio clienti di molte aziende. La disinformazione rappresenta una seria minaccia per la fiducia verso i vaccini e di conseguenza per la loro diffusione su ampia scala. Per questo è auspicabile che lo sforzo organizzativo sul piano logistico sia affiancato da una strategia di prevenzione della proliferazione di notizie false.

 

*Matteo Motterlini e Folco Panizza, Centro di Ricerca di Epistemologia Sperimentale e Applicata (Cresa) – Università San Raffaele

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