Roma capoccia

Gli incendi? Che siano dolosi non c'è prova. L'incuria invece è certa

Gianluca Roselli

I vigili del fuoco chiamati a spegnere le fiamme nella loro relazione parlano di focolai e non di veri e propri inneschi. Le cause sono disparate: grande caldo, poca pioggia, ma anche cattiva manutenzione del verde pubblico

Al momento non si può dire che gli incendi che hanno colpito la parte nord della città lunedì scorso siano dolosi. I vigili del fuoco chiamati a spegnere le fiamme nella loro relazione parlano di focolai e non di veri e propri inneschi, come è stato detto in un primo momento dal sindaco Roberto Gualtieri. Da parte degli inquirenti che stanno indagando per ora non ci sono novità e ci vanno coi piedi di piombo: che l’incendio sia doloso al momento non si può dire, ma non si può nemmeno escludere. Resta però il mistero sui tre inneschi di cui ha parlato il sindaco. La mano dell’uomo in questi casi può essere di due tipi: dolosa o colposa, quando viene generato senza una precisa intenzione ma per noncuranza, come gettare un mozzicone di sigaretta dove non si dovrebbe. 


Di certo, però, le alte temperature raggiunte in questi giorni nella capitale (38 gradi) non bastano da sole a generare un disastro simile: 50 ettari andati a fuoco nel parco del Pineto e a Pineta Sacchetti, con fiamme fino a Valle Aurelia e Monte Ciocci, col quartiere Balduina sotto una coltre di fumo e senza energia elettrica per molte ore. Il tutto a 3 settimane dall’incendio a Malagrotta, quello sì doloso.  “In un evento di questa portata c’è sempre una causa scatenante che per l’80-90 per cento è umana. Poi il gran caldo, il vento, il terreno secco e le sterpaglie non tagliate fanno muovere le fiamme con una velocità dieci volte maggiore e la sua avanzata diventa rapida e feroce”, osserva Mario Tozzi, geologo assai noto e presidente del Parco dell’Appia Antica. 


L’unica certezza, ora, è che l’incendio è stato domato, come conferma il direttore della protezione civile di Roma, Giuseppe Napolitano. “Non abbiamo più fronti di fuoco attivi in città. Ma è tuttora in corso un’opera di monitoraggio continua da parte nostra e dei vigili del fuoco”, sostiene Napolitano. Che nota un pericoloso aumento di incendi rispetto all’anno scorso, come ha evidenziato anche il sindaco Gualtieri (“dal 15 giugno in città si sono registrati 173 incendi”, ha detto il primo cittadino, mentre 80 sono stati gli interventi dei vigili del fuoco tra lunedì e martedì). “Abbiamo avuto una seconda parte dell’inverno e una primavera poco piovosi, questo ha ridotto la falda acquifera sottostante e ha reso più secche piante, arbusti e sterpaglie, tutti elementi che facilitano il propagarsi del fuoco. Le fiamme hanno trovato terreno fertile”, sottolinea il direttore della protezione civile. 


Grande caldo, dunque, poca pioggia negli ultimi mesi, ma anche cattiva manutenzione del verde pubblico, che tira in ballo i guai degli ultimi anni nella gestione dei parchi della capitale. “Non tutto è ‘falciabile’ poiché buona parte del verde capitolino è composto da parchi agricoli, ma sicuramente il verde in città più è ben tenuto e meno facilita gli incendi. Ora però è tardi: la manutenzione va fatta tutto l’anno anche a scopo preventivo. Quando arriva il canadair a gettare acqua sulle fiamme, la battaglia è già persa”, sostiene Tozzi. 


Ma in caso di dolo, chi ha interesse a bruciare il verde in città? Una prima motivazione è speculativa: soggetti che operano per fare in modo che in quella zona siano tolti i vincoli ambientali di verde pubblico, perché quando un bosco brucia non è più tutelato. Ma nella maggior parte dei casi si tratta di semplici piromani. D’altronde siamo e non siamo nella città di Nerone? “La piromania è una patologia che in Italia non viene considerata, ma all’estero sì”, spiega il giornalista Massimo Lugli. “Io ne ho intervistati tanti: sono persone che godono nell’appiccare incendi, guardare le fiamme, scatenare il caos e vedere poi i titoli sui giornali”.  

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