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L'arresto di De Vito è un pugno alla nervosa maggioranza grillina

Marianna Rizzini

Riunione notturna e destino incerto. L’ombra della presunta corruzione sembra troppo per il M5s autofondatosi su un’utopica-distopica idea di purezza

Roma. Nemesi ha voluto che il movimento che più di ogni altro ha gridato in piazza “onestà-onestà”, si trovasse ieri di fronte al più scomodo dei casi: il presidente dell’assemblea capitolina ed ex candidato sindaco del M5s Marcello De Vito che viene arrestato per presunte tangenti attorno al progetto del nuovo stadio della Roma; Luigi di Maio, vicepremier e capo politico, che lo espelle seduta stante; il sindaco Virginia Raggi, che di De Vito è stata (via Roberta Lombardi) avversaria interna, che si accoda al grido di “nessuno sconto”, e l’opposizione che chiede (invano) le dimissioni di Raggi medesima, tanto più che il giorno prima il M5s ha auspicato quelle del presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, neo segretario del Pd, indagato per finanziamento illecito ai partiti. E mentre Zingaretti si dichiara estraneo ai fatti, il caso De Vito apre un’altra crepa nel monolite del M5s. Difficile, infatti, apparire coerenti agli occhi degli attivisti nutriti a pane e gogna, come ricorda il deputato di + Europa Riccardo Magi (che sabato 23, con Radicali Italiani e Radicali Roma, affronterà, al convegno “Ripuliamo Roma”, l’altro punto dolente dei rifiuti). In pieno deflagrare di Mafia Capitale, dice Magi, il M5s “si è presentato nell’Aula Giulio Cesare con le arance, gridando ‘onestà-onestà’ e inscenando pubblica lettura delle intercettazioni”.

 

Ancora più difficile, per i Cinque stelle, nel giorno in cui in Senato viene negata, anche con i voti del M5s, l’autorizzazione a procedere contro Matteo Salvini per il caso Diciotti, è sostenere l’intransigenza. Dice al Foglio il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega alla Pa Mattia Fantinati: “Due pesi e due misure? Non scherziamo. Noi facciamo valutazioni politiche, non meramente giudiziarie. Politicamente, De Vito non è più in linea con i nostri principi, secondo quanto emerso, al di là delle responsabilità penali, per questo viene espulso subito. Politicamente, sul caso Diciotti, Salvini ha agito nell’interesse dello Stato e a nome del governo. Questo significa l’autonomia della politica”.

 

E ora? Ora i Cinque stelle, a Roma e nel Lazio, non si possono più permettere la grandeur (il M5s è in crisi a Genzano e nei municipi XI e IX). E ieri, in Campidoglio, a margine di una tormentata riunione di maggioranza, c’era chi si smarcava. Diceva infatti la consigliera m5s Monica Montella, da sempre contraria allo stadio come i colleghi Gemma Guerrini e Nello Angelucci: “La sindaca che dice? Lo stadio è stato la nostra rovina”. Che ne sarà della giunta? Raggi, a “Porta a Porta”, si ancorava al “chi sbaglia paga”, sottolineando la distanza da De Vito. Ma anche se il sindaco non si dimette, l’ombra della presunta corruzione dentro il Campidoglio sembra troppo per il movimento autofondatosi su un’utopica-distopica idea di purezza.

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.