Virginia Raggi (Foto LaPresse)

E se Raggi cade per mano giudiziaria?

Marianna Rizzini

Processi e paradossi. Opposizione in panne. Per la regione si scalda Tagliavanti

Roma. L’attenzione generale al momento non è per lei, in giorni di querelle Di Maio-Tria, ma lo sarà presto: il sindaco di Roma Virginia Raggi, infatti, in novembre dovrà ascoltare il verdetto dei giudici (è accusata di falso nel processo Marra). E allora vale la pena di fare un piccolo balzo in avanti: che cosa succederebbe se Raggi venisse condannata, essendo esponente storica del movimento che in caso di condanna non perdona, e anzi afferma che ci si debba dimettere?

 

La caduta della Giunta sarebbe conseguenza quasi scontata. Non così scontata, però, sarebbe la velocità di reazione degli altri, gli oppositori per ora alla finestra, in teoria favoriti da un verdetto negativo per Raggi e in pratica ancora molto indietro lungo la strada della riscossa. Fermo restando che una caduta del sindaco per mano giudiziaria avrebbe, per assurdo, l’effetto di minimizzarne i difetti (non si metterebbe cioè l’accento sugli errori politici e gestionali di Raggi, e sul disastro Roma, ma soltanto sul caso Marra in sé), c’è chi, in città, per esempio in settori produttivo-imprenditoriali, pur dando un giudizio molto negativo del sindaco, avrebbe paradossalmente interesse a che Raggi restasse ancora un po’ al potere, visto il nulla che altrove regna e visto l’effetto disastroso per Roma di una eventuale campagna capitolina anticipata. E la permanenza di Raggi, sempre per paradosso, “conviene” al momento anche alle forze politiche. Se si guarda a destra, infatti, si vedono tronconi molto poco solidali: Fratelli d’Italia ha visto la recente fuoriuscita di uomini in direzione Salvini (nascita della Lega in Campidoglio e passaggio di un consigliere comunale e undici consiglieri municipali verso il partito suddetto – che in città è arrivato al 10 per cento ma è ancora giovane per poter gareggiare con sicurezza della vittoria).

 

Non va meglio ai moderati di centrodestra, in attesa di capire le intenzioni dei fratelli-coltelli Salvini-Meloni. Se si guarda a sinistra, invece, una sinistra che porta ancora il peso degli errori passati, si vede in campo Nicola Zingaretti, presidente pd della Regione, eccezione allo sfacelo elettorale del marzo scorso e candidato antirenziano al congresso del Pd, con tanto di annunciata cena in trattoria con un operaio, una studentessa, un disoccupato, un insegnante e un imprenditore. Ma è come se l’eccezione Zingaretti confermasse la regola: a sinistra, al momento, anche per via del congresso pd, non si sa bene che cosa fare e soprattutto chi candidare. A sindaco, in caso di caduta della giunta, ma pure a governatore, in caso di vittoria di Zingaretti al congresso. (Intanto, nel vuoto, c’è persino chi fa il nome, per il dopo Zingaretti, di Lorenzo Tagliavanti, presidente della Camera di Commercio di Roma).

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.