Angelino Alfano (foto LaPresse)

Stranieri de noantri

Redazione

Nei consolati, nelle ambasciate e pure a Piazzale della Farnesina tutti parlano di Alfano “il libico”

La diplomazia è il ridotto della nobiltà al tempo della democrazia borghese, ed era inevitabile che il neo-ministro Angelino Alfano venisse accolto con una robusta dose di diffidenza alla Farnesina, ministero degli Esteri e bunker di Roma Nord. L’inglese manca, il francese nemmeno a pensarci, e fino all’altro mese il personaggio appariva troppo siculo persino a Campo dei Fiori, figurarsi altrove. “Ma i politici di professione – dice un diplomatico straniero – hanno una dote preziosa, che spesso manca a quelli che voi italiani chiamate tecnici: conoscono meglio i propri limiti”. E in effetti, nelle stanze della Farnesina ci sono ancora le crepe lasciate sul caso marò da Giulio Terzi di Sant’Agata, il diplomatico diventato ministro nel governo Monti. Una delle esperienze peggio ricordate dalle feluche italiane. Per ora Alfano sta svolgendo il compitino del buon novizio: a fine dicembre il giro delle grandi capitale europee, Parigi, Berlino, Londra e Madrid; ieri il volo a New York per un intervento al Palazzo di Vetro, per il debutto dell’Italia nel Consiglio di Sicurezza Onu.

Alla Farnesina Alfano non è arrivato in punta di piedi, imponendo come capo della comunicazione il suo consigliere diplomatico Marco Peronaci, preferendolo all’ambasciatore Ruggero Corrias. Raccontano tra i corridoi, e nei bar frequentati dai diplomatici in città, che Angelino ha un pallino: occuparsi della Libia. Simbolicamente, tiene un piede nel dossier immigrazione, lasciando però la patata bollente del day-by-day a Minniti. Ma Libia significa anche petrolio, infrastrutture e ricostruzione. “Evidentemente Alfano subisce lo stesso fascino che l’altra sponda del Mediterraneo suscitava in Berlusconi”, è il commento velenoso anche nelle ambasciate straniere. Al contrario, un possibile attivismo di Angelino l’Africano galvanizza la diplomazia nostrana. “Berlusconi concedeva a Gheddafi la tenda beduina a Villa Pamphilj, ma sapeva come tenere a bada il satrapo. Aver ceduto alla prepotenza francese ha trasformato la Libia in un colabrodo”. Chissà che l’essere molto siculo e poco bruxellese non sia un asset.

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