
Palermo (foto Ansa)
Preghiera
Si consideri il turismo una malattia e si cerchi una cura
"Consumatori ciechi, senza papille gustative e con uno stomaco di ferro", così ha descritto i turisti l'urbanista Maurizio Carta, parlando con il New York Times
Dove passava Attila non cresceva più l’erba, dove passa il turista non cresce più la vite. L’articolo del New York Times sul turismo che sta distruggendo l’enogastronomia italiana si focalizza su Palermo dove i vini e i cibi siciliani vengono spietatamente soppiantati da spritz e carbonara. Io segnalo il caso di Ferrara, dove a forza di spritz stanno dilapidando il loro vino meraviglioso, quel nettare autoctono chiamato Fortana.
Notizia triste: entro fine anno verrà spiantata la vigna di Fortana più preziosa, quella radicata sulla sabbia dell’incredibile Duna della Puja, a San Giuseppe di Comacchio. Sta per essere abbattuto un monumento agricolo, viti secolari a piede franco i cui grappoli producevano frizzanti e formidabili vini rosa e rossi, perfettamente ignorati dai turisti che bevono arancione. Ci faranno un campo di carote, arancioni pure loro… “E’ come se per strada fossero apparsi consumatori ciechi, senza papille gustative e con uno stomaco di ferro” ha detto al New York Times l’urbanista Maurizio Carta commentando la turistificazione. Davvero i turisti hanno stomaco di struzzo, davvero sono privi di palato (così come di cultura o anche solo di curiosità), ma la cecità è parziale: l’arancione lo vedono benissimo. Turismo come daltonismo, come patologia visiva? Si consideri il turismo una malattia e si cerchi una cura.