Il Mercato Centrale nella stazione di Roma Termini. Foto LaPresse

L'Opzione Mercato Centrale

Camillo Langone

Essendo impossibile risanare interi quartieri si piantino cento piccole oasi enogastronomiche a fianco dei binari, come vivai e vetrine del meglio d’Italia

Oltre all’Opzione Benedetto si prenda in considerazione l’Opzione Mercato Centrale. Nel primo caso si tratta di oasi di cristianesimo nel deserto dell’apostasia occidentale. Nel secondo si tratta di un’oasi di civiltà enogastronomica nell’abominio della desolazione esquilina, da tramutare in format. Il Mercato Centrale è incastonato nella Stazione Termini, lato via Giolitti: diciannove botteghe del gusto ossia appetitosi bistrot allineati sotto le magnifiche volte di mattoni disegnate dall’architetto Mazzoni negli anni Trenta. Gioia per gli occhi e per il palato, riposo per i sensi scossi dal circostante quartiere, incontrastato dominio del brutto e del cattivo.

Al piano superiore c’è la perla costituita dal ristorante di Oliver Glowig, il più romano dei grandi cuochi operanti oggi a Roma perché non conta il cognome, conta la carta, e qui si trovano lumache, animelle, code di bue, ingredienti di tradizione Testaccio-San Giovanni non tradizionalmente cucinati e dunque mai così prelibati. Perfino il vino è al contempo buono e laziale (un ossimoro, di solito) e alludo al Roscetto della famiglia Cotarella. Ogni città italiana ha una stazione e un Esquilino intorno, ogni città italiana prenda in considerazione l’Opzione Mercato Centrale: essendo impossibile risanare interi quartieri si piantino cento piccole oasi enogastronomiche a fianco dei binari, come vivai e vetrine del meglio d’Italia.

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  • Camillo Langone
  • Vive tra Parma e Trani. Scrive sui giornali e pubblica libri: l'ultimo è "La ragazza immortale" (La nave di Teseo).