Ansa
Rilevazioni vs urne
Il M5s percepito. Va meglio nelle rilevazioni che nei voti. Perchè? Parlano i sondaggisti Gigliuto, Diamanti e Noto
Dalle europee alle regionali, il M5s (che oggi è dato al 14 per cento) è andato spesso sotto le aspettative. I limiti dei sondaggi, quelli di Conte nel mobilitare i suoi e il ruolo dell'astensione: l'analisi degli esperti
Sono i rischi del mestiere (e dell’astensione), le variabili di un elettorato più deluso di altri. Qualche giorno fa Rocco Casalino, già portavoce di Conte, parlando delle ultime elezioni e del risultato non entusiasmante del M5s, diceva: “Alle regionali il Movimento va sempre male. Ma contano i sondaggi e i sondaggi ci danno al 14 per cento. Non così sotto al 22 del Pd”. Casalino s’affidava alla statistica per rispondere a una domanda di Rep. sulla leadership del campo largo e sulle velleità del M5s, dimenticando forse come in passato le rilevazioni non c’avessero sempre preso. E’ successo di recente nei territori, ma anche alle europee, quando il M5s percepito era oltre il reale. Come mai? “Il presupposto è che i sondaggi offrono una fotografia del momento. Non del voto”, dice Livio Gigliuto. Giovanni Diamanti aggiunge: “Il bacino M5s è tra i più permeabili all’astensione”. E per Antonio Noto: “C’è anche un tema legato alla delusione degli elettori”.
La questione, ci spiegano i sondaggisti, richiede di prendere in considerazione vari aspetti, dal tipo di competizione elettorale agli elettori. Partiamo dalle regionali: tralasciando il Veneto dove la partita era fin troppo ardua, in Puglia e Campania le aspettative erano un po’ più alte. Nel primo caso il M5s è arrivato al 7 per cento (vari sondaggi si spingevano fino al 10), nel secondo si è fermato al 9, nonostante il traino di Roberto Fico, grillino della prima ora. “La gran parte del consenso del M5s si basa sul voto di opinione, che a livello locale conta meno, come abbiamo visto alle regionali. Su questo Casalino ha ragione, lo seguo meno nel ragionamento sui rapporti di forze tra M5S e PD”, dice Gigliuto, presidente dell’Istituto Piepoli. “Inoltre quando c’è un sistema con le preferenze il Movimento va in difficoltà, risulta non particolarmente performante. Questo vale anche per le europee”. In quell’occasione, nel giugno 2024, a fronte di un circa 15 per cento atteso, il partito di Conte si fermò al 9,9 per cento. “Mentre il Pd – prosegue Gigliuto – è andato bene, grazie al traino di candidati fortissimi come Antonio Decaro e di altri nomi quali Giorgio Gori, Dario Nardella, Matteo Ricci o Nicola Zingaretti. Lo stesso vale per Alleanza verdi sinistra che è andata oltre le previsioni, sfruttando la visibilità di alcuni suoi candidati come Ilaria Salis”.
Anche Antonio Noto, presidente di Noto Sondaggi, riconosce i limiti del Movimento di Conte quando si tratta esprimere le preferenze. E a proposito delle discrepanze tra rilevazioni e urne, dice: “Il sondaggio offre l’istantanea di un momento, non si proietta al giorno delle elezioni”. Nel caso del Movimento può essere che ci sia una tendenza più spiccata degli elettori verso l’astensione? “In un certo senso il target del M5s sta un po’ alla volta abbandonando il partito perché deluso. E infatti una quota significativa degli astenuti ricade proprio tra gli ex elettori pentastellati”. Da qui deriva, secondo il presidente, una specificità che finisce per riflettersi sui sondaggi. “E’ come se questi ex elettori mantenessero una sorta di legame sentimentale con il M5s. E quindi lo ‘votano’ quando si tratta di rispondere a un sondaggio ma non sono sufficientemente motivati ad andare al seggio il giorno delle elezioni, quando la dimensione della delusione prevale su quella del consenso politico”.
C’è però un’altra curiosità che si lega alla discrasia tra dati reali e sondaggi. Nemmeno un paio di settimane dopo i risultati delle europee – 9,9 per cento – le rilevazioni assegnavano alla forza di Conte il 13-14 per cento nelle intenzioni di voto. Come lo spiega? “Il riferimento in questo caso è alle politiche e il marchio M5s, il leader Conte, hanno un’altra forza”, risponde infine Noto.
La pensa in modo simile anche Giovanni Diamanti, il co-fondatore di YouTrend. “L’elettorato del M5s si mobilita alle politiche mentre è il primo ad astenersi in altri tipi di consultazione”, dice il politologo e sondaggista. “Dopodiché il trend delle europee e delle regionali è opposto se invece si guarda ai sondaggi prima delle politiche. E infatti nell’ultimo mese di campagna elettorale, nel 2022, Conte è cresciuto e non di poco”. Diamanti allarga infine il ragionamento spostandosi su un piano più generale. E se Casalino ha lasciato intendere che possa essere un sondaggio a dare indicazioni sulla leadership, il sondaggista di You Trend è di un altro avviso. “Le rilevazioni inquadrano un momento preciso ma possono avere distorsioni, soprattutto con un’affluenza che è sempre più bassa. I sondaggi sono utilissimi, necessari, ma affinché lo siano davvero bisogna riconoscerne e rispettarne i limiti. Per questo credo che stabilire i rapporti di forza all’interno di una coalizione con i sondaggi sarebbe un po’ strano, contano di più i voti reali. L’incapacità di mobilitare i propri elettori – conclude Diamanti – rappresenta un limite e una responsabilità del Movimento, che non può certo essere imputato agli altri partiti”.