l'intervista

Padellaro: "La sinistra la smetta con le prediche sui pro Pal che non leggono la Stampa. Si dissoci dalla violenza, e basta"

Ginevra Leganza

Il fondatore del Fatto: "La violenza viene da sinistra, ma la sinistra dice che sono solo ignoranti. Non è così". Colloquio

“Sono le solite prediche inutili della sinistra italiana”. Dice così Antonio Padellaro, fondatore del Fatto quotidiano, a proposito dei commenti affranti per l’occupazione della Stampa a Torino. I pro Pal assaltano la sede del giornale, sparpagliano fogli, imbrattano muri. E senza indugio arrivano le reazioni del Nazareno, nel senso del partito ma pure di Gesù Cristo: “I pro Pal non sanno quello che fanno”. E poi: “I violenti non leggono la Stampa, che è contraria al genocidio”. Direttore, è così? “No. E mi domando a chi giovi questa solfa”.

L’abbiamo sentita  e letta spesso, in questi giorni, in tivù e negli editoriali.“Predicozzi. Ma l’ignoranza non c’entra nulla. Ammesso non leggano gli articoli della Stampa, e io credo che non li leggano, è semplicemente perché la loro azione non prevede la conoscenza di titoli ed editoriali, bensì l’esercizio della violenza. La violenza non come mezzo ma come scopo, come progetto politico. Altro che minus!”. E allora da cosa dipende il paternalismo dei predicozzi, come li chiama lei? “E’ il solito intellettualismo cattedratico”. Compiono il male perché non conoscono il bene? “Sì. Ma chi sostiene questa tesi più che Socrate sembra Brega in ‘Un sacco bello’: Io so’ comunista così!!!”. Comicità involontaria? “Comicità e paternalismo. Dei giornali e della politica”. Perché della politica? “Mi correggo: della sinistra più che della politica. Se la sinistra, nel senso ‘largo’ del termine, non la smette con le prediche e non apre gli occhi sul danno che provocano i violenti, continuerà ad autosabotarsi. Le condanne non bastano. La solidarietà non basta. E neppure bastano le prediche del giorno dopo”.

L’atteggiamento quale dovrebbe essere? “Anzitutto capire che un violento non è un minus habens”. Né un compagno che sbaglia? “No. Questi sono seri. E a loro modo sapienti. Mi viene in mente un’analogia con un’antica vicenda”. Ossia? “La cacciata di Luciano Lama, nel 1977, da parte del movimento studentesco alla Sapienza. Il meccanismo è analogo, con la differenza che rispetto agli studenti di Torino, il movimento studentesco era la Scuola di Atene. Quello che voglio dire, comunque, è che la sinistra deve capacitarsi di un fatto. E cioè che la violenza in piazza, se escludiamo gli anni di Piombo, ha sempre gli stessi simboli. Sempre gli stessi stilemi”. Falce e martello? “I simboli della sinistra. Per carità, la destra sarà fascista, nazista, razzista… Ma si guarda bene dall’innescare violenze. Anche perché forse non ne ha bisogno, essendo al governo”. Chi dice che non sanno quello che fanno vuole attenuare il fatto? “Il Campo largo, in politica e nel mondo dell’informazione, non coglie un punto. Quando l’italiano medio vede il telegiornale, non lambicca. Non distingue tra pro Pal buoni e pro Pal cattivi. D’altra parte non c’è corteo per la Palestina dove non facciano capolino queste persone, che inficiano la parte buona del movimento”.

Perché Schlein, Conte, Fratoianni e Bonelli non li abbandonano? “La sinistra non li molla perché teme di perdere consenso. Il solito piede in due staffe. Per tornare ai tempi di Lama, Berlinguer criminalizzò senza tentennamenti il movimento degli studenti: nemico della classe operaia. All’epoca c’erano anche il servizio d’ordine del Pci e della Cgil…”. Tutto molto novecentesco, direttore. A pensarci bene anche l’occupazione del giornale. Ecco, com’è possibile che anziché assaltare un podcaster sionista abbiano occupato una redazione così attenta? “Certamente saranno stati spinti a farlo. Ma non per questo, ripeto, sono ignoranti”. La legge non ammette l’ignoranza. “Comunque, è vero. E’ un meraviglioso fraintendimento. Anzi, il fraintendimento è proprio questo: non che abbiano attaccato un giornale attentissimo al Medio oriente, ma che abbiano occupato un giornale tout court”. Un vulcano spento? “La Stampa di Torino è il simbolo di un potere novecentesco. Non ci sono gli Agnelli, non c’è la Fiat. Eppure vanno ad occupare un giornale, peraltro in vendita. Vanno a occupare un simulacro di se stesso. Ecco, questo è interessante”. 

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