
Foto ANSA
Editoriali
L'ennesimo colpo alla “mafia cinese”
Bene Piantedosi sulle operazioni in oltre venticinque città di ieri. Ora però il problema è anche politico: o non è vero che il Partito comunista cinese ha il controllo assoluto dei suoi cittadini anche all’estero, o i criminali si muovono anche con il benestare di Pechino
L’altro ieri un reportage pubblicato dall’Afp, e rilanciato dalle maggiori testate internazionali, aveva un titolo eloquente: “Il distretto italiano del fast fashion è diventato il terreno di scontro tra le mafie cinesi”. E del resto sono passati meno di quattro mesi dall’esecuzione a colpi di pistola di due cittadini cinesi su via Prenestina a Roma, singolo episodio di una guerra tra gruppi criminali cinesi di cui la cronaca e la politica si occupano poco. Ieri un segnale è arrivato sia dalla Guardia di Finanza sia dalla Polizia di stato. I poliziotti hanno effettuato un’operazione a sorpresa in oltre venticinque città – tra cui Roma e Prato – hanno arrestato 13 persone e ne hanno denunciate 31 per reati connessi all’immigrazione clandestina, la prostituzione, la contraffazione, lo spaccio e il trasferimento illegale di ingenti somme di denaro attraverso sistemi alternativi a quelli formali. Nelle stesse ore la Guardia di finanza, da tempo attiva nel tentativo di contrastare la criminalità di origine cinese, ha effettuato sequestri per 741 milioni di euro, chiuso 266 società di comodo e smantellato un sistema di frode fiscale da 3,4 miliardi di euro fra Marche, Lombardia e Piemonte.
E’ l’ennesima notizia di un colpo alle mafie cinesi da parte delle Forze dell’ordine italiane, ma questa volta – e per la prima volta – il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha parlato esplicitamente di “mafia cinese”, che non è “una realtà criminale transnazionale capace di muovere miliardi e di infiltrarsi nel tessuto economico”. Piantedosi, che è stato in visita a Pechino a ottobre del 2024, aveva incontrato anche il ministro per la Pubblica sicurezza cinese, Wang Xiaohong. Ed è legittimo domandarsi se i due abbiano parlato anche di quanto la diaspora cinese in Italia sia stata in grado, negli ultimi anni, di mettere le mani su un complesso sistema criminale di cui fanno parte anche le cosiddette “stazioni di polizia virtuali”. Il Partito comunista cinese è così potente che delle due l’una: o non è vero che ha il controllo assoluto dei suoi cittadini anche all’estero, o i criminali si muovono anche con il benestare di Pechino. Chissà che qualcosa non si stia muovendo.