
Diplomazie esauste: l'Europa senza potere di fronte al conflitto
Non si può inserire nella guerra di Israele all’Iran una linea di intesa per la de-escalation che non ha basi rilevanti nel teatro tragico dei fatti. Mediare vuol dire avere un ruolo, averlo avuto, non soltanto essere trattativisti per principio
La diplomazia europea ha una grande tradizione ma non ha più alcun potere. Non ha dietro si sé la deterrenza militare. Procede da anni per sentenze apodittiche di tipo giuridico, secondo il canone del diritto internazionale, obliterato nei fatti da quella che gli europei definiscono escalation e riprovano con argomenti prepolitici. Ora a Ginevra i ministri degli Esteri di Francia Germania e Regno Unito pretendono di inserire nella guerra di Israele all’Iran, su basi fragilissime, una linea di intesa per la de-escalation che non ha basi rilevanti nel teatro tragico dei fatti. Piovono bombe e missili. L’oggetto del contendere non è mai stato così chiaro. Fine del programma nucleare di uno stato terrorista. Sconfitta strategica di quasi cinquant’anni di predicazione e azione nichilista di un regime islamista che vuole annientare l’entità sionista cosiddetta e per questo cerca l’atomica e diffonde e finanzia e coordina eserciti alleati sterminazionisti. Su questo i fatti sono disposti verso l’ultima ratio. La diplomazia europea cerca di eluderne la sostanza. Suscita contemporaneamente la diffidenza degli iraniani, degli americani e degli israeliani.
Per aiutare sforzi in sé encomiabili di pacificazione, di restraint come dicono loro, bisognerebbe che il coinvolgimento europeo fosse significativo, incalzante, a suo modo minaccioso: questo è poi il leverage, il potere dissuasivo, di ogni diplomazia che si rispetti. Ma oggi, a parte il diritto e il benessere delle economie internazionali messe alla prova di un conflitto che potrebbe avere serie ripercussioni, di cui peraltro non si vede oggi il peso reale, il linguaggio della diplomazia europea è sostanzialmente muto. L’essere fuori da tutto o quasi non consente di entrare dentro un conflitto mortale o esistenziale per i soggetti coinvolti, anche per limitarne i danni umanitari e politici. Brutto affare, questo di una diplomazia di antico lignaggio che non ha più agganci effettuali con la situazione reale sul campo. Ti costringe a moralizzare, a fare propaganda, a chiacchiere estenuanti, a prospettive opache, a immense perdite di tempo. Mediare vuol dire avere un ruolo, averlo avuto, non soltanto essere trattativisti per principio.
Dietro Netanyahu sta un paese che vuole salvarsi dalla distruzione e affronta le cose pianificando da molti anni la replica politica, tecnologica, di intelligence a chi intende distruggerlo. Dietro Trump sta la logica transactional, pericolosa e infida, ma anche il Pentagono ovvero il ruolo americano residuo nella regione e una tradizione lunga di alleanza strategica con Israele, fino a ieri patrimonio comune di democratici e repubblicani, oggi contestata solo dagli isolazionisti Maga, brutta razza unamerican. Dietro gli europei che cosa ci sia è un mistero. Forse credono di aver maturato dei crediti importanti con Khamenei per aver seguito pedissequamente la linea Obama chiaramente fallita già dai tempi della prima presidenza Trump. Ma lo strike nasce proprio da quel fallimento conclamato e certificato perfino dalle agenzie dell’Onu, e questo strano leading from behind, guidare dalle retrovie, di Trump obamizzato nasce dall’efficacia e dalla decisività della deterrenza esercitata dall’aviazione israeliana nei cieli di Teheran. Ci si augura che la diplomazia europea abbia delle carte coperte, di cui non si conosce per adesso il segno o il colore, ma se ne dubita. La devastazione dell’Iran e la sua trasformazione in uno stato fallito, modello Afghanistan, non è nell’interesse di nessuno. Ma che questo obiettivo sia perseguibile dalle diplomazie europee non è nelle previsioni di nessuno.