
dopo il voto
Più firme, norma anti influencer e controllo dei quesiti: Meloni pensa a una stretta sui referendum
Euforia a Palazzo Chigi per lo scampato pericolo. E c'è chi consiglia alla premier di modificare le regole della consultazione con un emendamento al Premierato. Anche la svolta sui ballottaggi prende forma dopo le audizioni in Senato
Giorgia Meloni ha vinto, e ora non sa se stravincere. Fino all’ultimo medita se uscire pubblicamente sulla spallata (mancata) del campo largo al suo governo. La batteria di dichiarazioni di Fratelli d’Italia rende bene la sensazione di leggera euforia che si respira a Palazzo Chigi. Ne bastano due. Il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari dice “noi ne usciamo rafforzati, la sinistra ne esce indebolita”. E poi Ignazio La Russa, presidente del Senato e seconda carica dello stato che dopo l’invito all’astensione confessa di essere andato a votare solo il quesito sugli incidenti sul lavoro. Salvo chiosare la giornata con un responso netto: “Il campo largo è definitivamente morto”. Ma ora cosa succede? I consiglieri della premier sussurrano alla leader una serie di correttivi all’istituto referendario. Girano diverse ideuzze in queste ore di innocenti evasioni per arrivare a una stretta.
Se Maurizio Lupi, leader di Noi moderati, ha proposto di portare a un milione le firme necessarie per chiedere un referendum, è allo studio anche un’altra mossa. Per scorciatoia semantica è chiamata “anti Ferragni”. Cioè per fare in modo che non sia una influencer a promuovere la mobilitazione nella raccolta di adesioni, ma che si tocchi la nuova asticella attraverso firme qualificate ed equamente divise in tutte le regioni. Un altro tassello, infine, riguarda il ruolo della Corte costituzionale affinché agisca prima sul quesito in sé, per stabilirne l’ammissibilità, e non dopo, una volta che sono state raccolte le firme. Piccoli e grandi accorgimenti che nel governo c’è chi vorrebbe legare alla riforma costituzionale che riguarda il Premierato, attesa alla Camera per la seconda lettura dopo il via libera del Senato. Sono tutti consigli che Giorgia Meloni sta valutando, soppesando, senza dare ancora un via libera definitivo a questa operazione. Ecco perché il dilemma del vincere o dello stravincere.
Superato questo scoglio in scioltezza, imbarcarsi adesso in una polemica con le opposizioni che l’accusano di liberticidio nei confronti dei referendum forse non l’aggrada. Di sicuro, però, lo scampato pericolo restituisce un centrodestra coeso che adesso guarda alle elezioni come coalizione compatta e vincente. Alle politiche sì, ma alle comunali no. Soprattutto nelle grandi città. Taranto al centrosinistra mette in luce i dubbi sull’operato del “ministro Ilva” Adolfo Urso. Tuttavia il vero tallone d’Achille è rappresentato dai centri metropolitani. Dove, non a caso, la partecipazione ai referendum è stata più alta rispetto alla media nazionale: Roma, Milano, Torino, Bologna, Napoli. Fortini del centrosinistra, ma anche a specchio, dimostrazione di una classe dirigente di centrodestra poco attrattiva. In attesa di scovare conigli dal cilindro, la maggioranza corre spedita verso un’altra modifica delle regole in gioco, anche questa ispirata da La Russa a più riprese. Riguarda la modifica dei ballottaggi: la possibilità per il primo che arriva al 40 per centro di diventare sindaco al primo turno, senza i tempi supplementari due settimane dopo. Vista la tensione nel campo largo con un pezzo di Pd che rinfacci a Schlein di essere troppo schiacciata sul M5s, questa modifica potrebbe rendere la vita più difficile al centrosinistra, costretto a stringere complicati patti nella coalizione fin dal primo turno senza il richiamo della foresta al ballottaggio. Nel frattempo il ddl di iniziativa parlamentare, presentato in Senato dai quattro capigruppo del centrodestra, va spedito. Finite le audizioni dovrebbe entrare nel vivo nelle prossime settimane. La modifica guarda alle comunali nelle grandi città che dovrebbero svolgersi nella primavera del 2027 quando ci saranno – salvo sorprese – anche le politiche. Vincere o stravincere? Ridere o maramaldeggiare?
Nel centrosinistra è scattata l’autoanalisi con punte di orgoglio forse un po’ naïf, dall’altra parte si ride, si festeggia e si sghignazza. C’è da capire però se capitalizzare questo successo e in quale modo. In questo filone, insieme a nuove regole per i referendum e per i ballottaggi, si inserisce anche il capitolo terzo mandato per i governatori. Anche su questo aspetto il centrodestra è al lavoro, e in particolare il ministro per gli Affari regionali Roberto Calderoli, big della Lega, partito interessato alla vicenda per via di Luca Zaia, il doge Veneto che vuole succedere a se stesso. La mossa guarda anche alla Campania e quindi a Vincenzo De Luca. Visto da fuori Meloni può intervenire anche su questa particolare fattispecie. Anche se è una questione di tempi e di forma (si cerca un veicolo legislativo per non entrare in rotta di collisione con il Quirinale). Nel giorno della grande risata a Palazzo Chigi si ragiona su questo: gestire il successo o intervenire? Per la cronaca ieri sera alle 20 la premier non aveva ancora commentato l’esito, per lei felice, della sfida referendaria.