
nel campo largo
Il referendum è stato una prova di leadership a sinistra, vinta da Landini
Il quorum è fallito, ma l’opa landiniana sulla sinistra no. Il segretario della Cgil ci ha messo la faccia, ammettendo la sconfitta. Elly Schlein ci ha messo la faccia di Taruffi, costretto a celebrare la vittoria
“Noi volevamo la vittoria e questa non è una vittoria. L’obiettivo non l’abbiamo assolutamente raggiunto”, dice lui. “I 12,5 milioni di Sì ai referendum sono più di quelli presi da loro (la destra, ndr) alle politiche. E più dei voti presi allora dal centrosinistra”, dice lei. Dai commenti del giorno dopo, sembra che Maurizio Landini ed Elly Schlein abbiano giocato una partita diversa o che fossero su due fronti contrapposti. Anche nella sconfitta, come nell’ideazione e nella conduzione della campagna elettorale, questo referendum ha dimostrato che a sinistra esistono due leadership molto diverse. Anzi, ne esiste una sola.
Il segretario generale della Cgil è colui che ha voluto questo referendum: ha studiato i quesiti, ha raccolto le firme, ha convinto o costretto i partiti dell’opposizione a schierarsi al suo fianco (o a contrapporsi a lui, come nel caso di Matteo Renzi e Carlo Calenda). E quando alla chiusura delle urne, a dati sull’affluenza non ancora definitivi, era chiaro che il quorum non era stato superato, Landini si è presentato davanti alle telecamere, affiancato dai suoi collaboratori, e si è sottoposto per un’ora alle domande scomode dei giornalisti. “Bisogna dire la verità, non è che si può dire che è una vittoria quando non lo è”, dice il sindacalista. Anche se poi, Landini spiega che in questa sconfitta ci sono anche cose positive come aver coinvolto milioni di cittadini, rimesso i temi del lavoro al centro del dibattito politico, tentato di rispondere alla crisi della democrazia. Non una resa, insomma: “Continueremo questa battaglia”.
Elly Schlein, la leader del principale partito della sinistra, invece non si è presentata in conferenza stampa e non ha ammesso la sconfitta. Ma anzi, ha celebrato la vittoria. Senza metterci la faccia, come si dice, ma mettendoci quella del fido Igor Taruffi costretto – con una mimica facciale che manifestava il contrario – a esultare per il trionfo: “Su 15 milioni di italiani andati alle urne, circa 13 milioni si sono espressi a favore. Quando sei al governo e un numero di cittadini superiore a quelli che ti hanno votato, ti chiede di cambiare una legge, una riflessione la devi fare”. Meloni battuta. La figura di Taruffi ricorda quella di Muhammad Said al-Sahhaf, noto come “Baghdad Bob” o “Alì il Comico”, il generale iracheno mandato da Saddam Hussein durante l’invasione del 2003 davanti alle telecamere a dire che le truppe irachene stavano vincendo la guerra, che i soldati americani si stavano suicidando e che gli Stati Uniti si sarebbero arresi. Tutto questo mentre i carri armati americani erano a Baghdad e Saddam era in un bunker.
Tutto lo spin post-elettorale del Pd è stato un imbroglio sui numeri, per non prendere atto della sconfitta. Prima sono stati celebrati i 14 milioni di voti a sostegno della propria piattaforma, arruolando quindi anche i No nel fronte dei Sì. Poi il Pd ha puntato al superamento del farlocco Quorum Boccia, ovvero un voto in più rispetto ai 12,3 milioni di voti presi dal centrodestra nel 2022. Mancato anche questo, perché i Sì si sono fermati tra i 9 e i 12,2 milioni, il Pd è passato a taroccare i numeri pubblicando sui social una grafica con i voti del centrodestra nel 2022 ridotti a 12 milioni (300 mila in meno, 600 mila considerando anche la circoscrizione estero): una manipolazione che avrebbe imbarazzato anche Alì il Comico.
Ma che Landini sia un leader e la Schlein una follower era chiaro già all’inizio della campagna referendaria, quando la segretaria del Pd disse che avrebbe appoggiato i referendum contro il Jobs Act della Cgil che ancora non esistevano. A prescindere, senza conoscerne il contenuto. L’errore del Pd è stato poi quello di politicizzare il voto, presentandolo come un referendum contro il governo: un “avviso di sfratto” a Giorgia Meloni. Il contrario dell’impostazione di Landini, che in tutta la campagna ha tentato di far esprimere la gente sui contenuti: “Non era un voto contro il governo o contro un partito, ma contro i governi di destra e di sinistra che hanno fatto leggi balorde”, ha detto ancora una volta oggi Su questo Landini ha mostrato un maggiore fiuto politico.
Certo, l’obiettivo del quorum è stato fallito ma l’opa landiniana politica sulla sinistra no. Sebbene Landini e Schlein fossero entrambi favorevoli a tutti e cinque i quesiti, i risultati hanno mostrato un consenso molto più ampio per le proposte sul lavoro (su cui il segretario della Cgil è più credibile) rispetto a quella per la cittadinanza (terreno proprio di Schlein). Insomma, il fallimento del referendum è stato anche una prova di leadership a sinistra, da cui è uscito rafforzato colui che ha ammesso la sconfitta e inadeguata colei che ha esultato per la vittoria.
