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Il colloquio
Calovini (FdI): “Merz e Cdu garanzia per l'Ue. Guardiamo al Ppe”
“In questo momento storico bisogna assicurare stabilità politica come sta facendo Giorgia: nessun dubbio su chi siano i nostri interlocutori privilegiati”, dice il capogruppo dei meloniani alla commissione Esteri della Camera
Venezia. Friedrich Merz non è soltanto un interlocutore credibile. Rappresenta “una garanzia di stabilità estremamente importante. Anzi, la più importante d’Europa”. L’approvazione arriva direttamente da Giangiacomo Calovini, capogruppo per Fratelli d’Italia in commissione Affari esteri alla Camera. “Noi a Bruxelles non abbiamo una famiglia politica che si interfacci con una controparte tedesca: nessun rapporto con Afd”, dice Calovini rimarcando la differenza con la Lega. “Dunque guardiamo con grande convinzione al blocco Cdu-Csu. E quindi al Partito popolare europeo: anche per restituire stabilità ai nostri due paesi. Ne ha bisogno l’Italia, come la Germania”. Che i meloniani cerchino casa in Europa magari è presto per dirlo. Ma legittimare così apertamente un baluardo dell’atlantismo, della causa ucraina, contro la guerra di Putin e i dazi di Trump, non è affatto cosa da poco. “La destra di Merz che governerà la Germania è molto diversa da quella di Trump e Orbán”, conviene Calovini, parlando con il Foglio. “Noi abbiamo dimostrato di lavorare bene con tutti, nell’interesse dell’Italia, ma è chiaro dove si trovino le maggiori affinità partitiche”. Ultimo venne il Canada: è l’effetto The Donald al contrario, in grado di ricompattare il mondo moderato non antisistema come mai era accaduto in questi ultimi anni. “Il presidente americano ha senza dubbio destabilizzato l’esito di molte elezioni recenti nel mondo occidentale. Però dalla Germania in poi, in Europa si registra una crescita importante del fronte conservatore. C’è voglia di una destra di governo, pragmatica, che sia grado di amministrare come sta facendo in Italia”.
Il deputato fa notare che lo stesso meccanismo si riscontra nel centrosinistra. “Guardate il Regno Unito di Starmer, per esempio. E lo stesso Canada, anche all’interno dei liberali stessi: la vittoria di Mark Carney costituisce una discreta virata rispetto alla stagione Trudeau. Il nuovo premier è un moderato, una figura alla Draghi. Magari meno animale politico, meno passionario, ma tecnico e competente: aver già diretto due banche centrali differenti – Canada e Inghilterra – lo rende un personaggio unico al mondo, capace di attirare anche i voti dei moderati”. Quasi quasi pure quelli di FdI. “Ma no, è chiaro che la crescita dei conservatori di Poilievre è un dato positivo per noi. Però è necessario sottolineare le differenze rispetto al passato. A prescindere dallo schieramento: c’è molta volatilità, crescente interesse a offrire un’alternativa alla polarizzazione”. Un freno agli estremismi. “E’ un bivio comune a molti, pure in Italia: il blocco formato da M5s, Avs e parte del Pd, in politica estera ha posizioni completamente diverse dal resto dell’opposizione – Italia viva, Azione, l’altra metà dei dem. E come detto, questo succede anche nel centrodestra. Noi sappiamo bene chi sono i nostri interlocutori privilegiati”.
Non solo il partito di Giorgia tende la mano al Ppe. Ma da Bruxelles anche il Ppe riconosce FdI – ed Ecr, a cui appartiene a livello comunitario – come una sponda politica sempre più affidabile. “In questi due anni e mezzo da capogruppo ho viaggiato tanto”, dice Calovini. “E tutti, sul piano internazionale, riconoscono l’importanza del governo Meloni: un sinonimo di credibilità e garanzia, che in questo momento delicato, anche dal punto di vista economico-imprenditoriale, servono come il pane. Al di là del colore ideologico. Essere garanti di stabilità non è cosa frequente nella nostra storia. E ora paga tantissimo, in termini di prestigio”. Nonostante le divergenze nella coalizione, i salviniani capricci. “A parole”, sorride il deputato. “Poi però contano i fatti: in commissione Esteri non ho mai visto la Lega smarcarsi di un millimetro su qualunque risoluzione o votazione che abbiamo fatto sulla politica internazionale. Lo stesso succede in aula, dove la maggioranza è compatta nella sua posizione di sintesi. Cioè la nostra”.
