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a palazzo san macuto

L'autofiction di Emiliano sotto il fuoco delle domande in Commissione Antimafia 

Gabriele De Campis

L’audizione del governatore ribalta gli schemi: il togato in aspettativa incalzato dai commissari inquirenti. Tra ricostruzioni storiche e aneddoti, i malinconici titoli di coda della “primavera pugliese”

Metti Michele Emiliano in Commissione Antimafia. Quasi cinque ore di audizione. Tra ricostruzioni storiche (di parte) e show, tra siparietti e suggestioni è andata in onda la riscrittura del copione degli ultimi vent’anni di amministrazione progressista in Puglia. La presenza di Big Mike a San Macuto ha ribaltato ogni prevedibile canovaccio: l’ex pm antimafia “interrogato” su presunti rapporti con i clan e sulla visita a casa della sorella del boss per “affidarle” Antonio Decaro; il governatore circondato da manager incappati in guai giudiziari (e un’assessore dem indagata e defenestrata) illustratore della sua amministrazione come un modello di lotta alla camorra; i forzisti intervenuti con toni inquirenti alla Montenero di Bisaccia, la renziana Raffaella Paita si è appellata “alla megalomania” del leader pugliese, Maurizio Gasparri gli ha dato dell’indovino per la scivolosa storia dei messaggi al suo ex assessore poco prima dell’arresto…  

E’ andato in onda (anche su YouTube) il confronto tra Emiliano e la Commissione Antimafia dopo le tante inchieste che hanno reso la Puglia il palco del solito sud a rischio infiltrazioni mafiose e le polemiche sulla data della seduta che non si riusciva a fissare. Si è configurata così una autofiction, con la presidente Chiara Colosimo nel ruolo di arbitro insolentito dalle obiezioni giunte da sinistra e dai 5 stelle.

Ecco l’auto-sceneggiato del magistrato che – indossata la fascia tricolore nel 2004 – ha mantenuto il piglio dello “sceriffo”, dello “sbirro”. Emiliano aveva preparato nei dettagli l’audizione, al pari dei commissari. E il quadro finale ha il sapore amaro dei titoli di coda sulla “primavera pugliese”, dopo quattro lustri di qualche innovazione e troppa buona stampa.   

“Ero un magistrato di punta della Dda e con qualche contraddizione teorica mi ero trovato a fare il sindaco. La cosa era stata decisa dal popolo barese”: lo sceicco ha subito chiarito la sua estrazione. E ha rivendicato di aver inaugurato un archetipo: “Nel modello che abbiamo realizzato”, “non c’è dietro un ragionamento politico, c’è una intuizione popolare che veniva dal basso, che chiedeva un cambiamento con un figura che veniva da un altro contesto”. Quasi un saggio di “populismo liofilizzato”, che rende superflua la lettura degli studi di Carlo Galli e Marco Tarchi.

Per oltre un’ora Emiliano ha esaltato le sue gesta alla Rudolph Giuliani, contro parcheggiatori e spacciatori, al punto che il suo compagno di partito Walter Verini, non ha potuto non annotare che l’affresco della mafia barese la raffigurava “un po’ troppo stracciona”.

È andata in scena anche una nuova versione (chi scrive ha perso il conto delle precedenti) dell’incontro a casa della sorella del boss Antonio Capriati con l’allora assessore Antonio Decaro. Si è autodescritto quasi come un “neo smemorato” di Bari vecchia: “Sono andato a dirle 'comandiamo noi'. Un episodio di sedici anni fa. In questi giorni mi sono rivisto tanti documenti che ho firmato, atti, di cui non mi ricordavo nulla. Non escludo di aver dato dettagli sbagliati. Se, come ho sentito, il sindaco di Bari attuale ricorda di non esser stato con me a casa Capriati, probabilmente ha ragione lui”. La Commissione però ha acquisito elementi dell’atmosfera barese dei primi anni venti del millennio: una cappa di omertà, lo strapotere dei clan e i metodi rudi con cui Emiliano si rapportava a queste umanità di risulta. "Decaro in piazza della Cattedrale mi indicò quelli, i ragazzi che lo avevano intimidito. Li affrontai e dissi loro che Decaro 'è l’assessore, come se fossi io', 'basta, non toccatelo'. Ero il sindaco e dovevo fare il necessario per far lavorare serenamente i miei assessori”. Poi la specifica: “Il racconto (della presunta intimidazione, ndr) non conteneva notizie di reato, era un evento di colluttazioni varie in senso dialettico”.

Il clima si è arroventato con Andrea Orlando che ha filosofeggiato sullo stravolgimento della missione della Commissione e i commissari del centrodestra che cercavano ulteriori dettagli emersi “dalle fonti aperte dei media”. E tanti colpi di scena. Come la proposta autonomista (che dirà Calderoli?) di istituire una polizia regionale anticorruzione: “Costituiremo – ha annunciato Emiliano – il nucleo ispettivo della Regione Puglia”, l’annuncio di una amministrazione illibata (“non c’è nessuna indagine sul mio ente e nemmeno sul Comune”, ma l’Amtab è stata commissariata per infiltrazioni) fino alla richiesta ultima: “Vi chiedo tutela e di raccontare a tutta l’Italia, per favore, che il presidente Emiliano non è oggetto di indagine di alcun tipo”. La Paita: “Come mai è così sicuro? Come fa a saperlo in modo circostanziato?”. Verini: “E’ emersa la pochezza della destra”. Fi: “Emiliano non credibile”. E non poteva essere diversamente, tra autofiction e realtà.

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