(foto Ansa)

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Se la politica maltratta i dati

Lorenzo Borga

Agenas sbaglia a calcolare il pil, Meloni inciampa nella spesa sanitaria

Senza i dati non si può governare un paese. Figurarsi ambire a cambiarlo. L’ultima settimana ci ha regalato due storie horror su come la politica italiana maltratta i dati (e gli elettori a cui li racconta). Il primo sfondone è arrivato sulla sanità. Tutto parte dalla dichiarazione della presidente del Consiglio Giorgia Meloni che, intervistata giovedì sera da Bruno Vespa su Rai1, dice con tutta la sicurezza del mondo: “In rapporto al pil, il fondo sanitario del 2024 quest’anno incide per il 6,88 per cento. Anche questo è verificabile: è il dato più alto di sempre in rapporto al pil, salvo nell’anno del Covid”. In realtà no, ma non è questo il punto. I più attenti tra i lettori si saranno già accorti del problema: il 6,88 per cento riferito da Meloni è un dato differente da quello pubblicato dallo stesso governo lo scorso ottobre nel Documento programmatico di bilancio. Il rapporto che descrive gli interventi di finanza pubblica fissa infatti l’asticella al 6,4 per cento sia per il 2024 che per il 2025. Non fatevi ingannare dai pochi decimali di differenza: tra i due livelli ballano una decina di miliardi di euro. Interrogandosi sulla fonte di questa stima citata da Meloni, il sito Pagella politica ha ipotizzato che potesse provenire da Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali. E qui arriva il bello. L’agenzia ha pubblicato sul proprio sito un rapporto sulla spesa sanitaria, indicando per il 2024 un rapporto spesa sanitaria/pil del 6,8 per cento. Un numero compatibile con quello raccontato dalla premier. Ma come fa un’agenzia governativa a diffondere un dato differente da quanto segnato dallo stesso governo in legge di bilancio, documento approvato dal Parlamento, scritto dalla Ragioneria dello Stato e scandagliato dai tecnici della Commissione europea, Upb, Corte dei Conti e Banca d’Italia? 

 

La spiegazione è ad alto tasso di imbarazzo: Agenas sbaglia a calcolare il pil nominale, il denominatore del rapporto tra spesa sanitaria e pil, fissandolo a 1.960 miliardi di euro, quasi cento meno della Nadef. L’agenzia da me interrogata sul punto spiega in un’email che al momento della redazione del documento, non essendo ancora disponibile l’ultimo dato Istat sul prodotto interno lordo, per calcolare il pil nominale 2023 e 2024 è stata utilizzata una stima di incremento dello 0,7 per cento annuo, vale a dire la previsione di crescita del pil di Istat di allora. Chi tra i lettori ha una minima dimestichezza con l’economia e i conti pubblici avrà già capito: Agenas dimostrando di non conoscere la differenza tra pil reale e pil nominale si è dimenticata dell’inflazione! La stima Istat riguarda da che mondo è mondo la crescita reale, vale a dire al netto dell’inflazione. La ragione è ovvia, basta pensare alle proprie finanze personali: se ricevo un aumento di stipendio di 1.000 euro all’anno ma lo stesso fanno le mie spese a causa del rincaro dei prezzi, il mio stile di vita rimarrà il medesimo. Per misurare quanto nei fatti migliora il proprio benessere economico – e semplificando all’estremo, anche quello di uno stato – si guarda all’incremento reale del reddito, cioè al netto dei prezzi. L’Agenzia per i sistemi sanitari regionali si perde perciò per strada 4,9 punti percentuali di inflazione annua e un centinaio di miliardi di euro, con un errore che porterebbe alla bocciatura di qualsiasi studente di Economia al primo anno. E il risultato è un rapporto tra spesa sanitaria e pil erroneamente gonfiato.
Ma la scorsa settimana ci ha regalato anche una seconda perla. Questa volta a dare i numeri è stato il ministero delle Infrastrutture che presentando in una nota la proposta di condono per le piccole irregolarità edilizie scrive che queste interesserebbero “secondo uno studio del Consiglio nazionale degli ingegneri, quasi l’80 per cento del patrimonio immobiliare italiano”. La stima viene ripresa da tutti i giornali, e impressiona per la sua magnitudine. Tanto da suonare quantomeno sospetta. A una rapida ricerca lo studio non compare sul sito dell’Ordine degli ingegneri, e l’ufficio stampa interrogato da Sky Tg24 risponde che in realtà “uno studio vero e proprio non c’è”. Si tratterebbe in realtà di “una stima di massima fatta a suo tempo limitatamente a un campione” – ampio o meno, rappresentativo o meno, non è dato saperlo – “di immobili per cui è stato chiesto l’accesso al Superbonus”. Et voilà: lo studio esibito dal ministero delle Infrastrutture non è uno studio.
Due storie, stessa morale: se torturi i dati abbastanza a lungo confesseranno ciò che vuoi.

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