Ignazio Marino - foto LaPresse

la vendetta del chirurgo

Ignazio Marino si candida alle europee. Nel Pd romano pensano di raggiungere Bettini in Thailandia

Salvatore Merlo

Il sindaco marziano, defenestrato dal Campidoglio, rimette piede in politica e si presenta per correre per Bruxelles. Ma lo farà con i Verdi e Sinistra italiana. Da Zingaretti a Gualtieri, panico tra i dem a Roma
 

Trema il Pd romano, si preoccupa il sindaco Roberto Gualtieri (“questo non vuole il termovalorizzatore”), aggrotta la fronte Nicola Zingaretti (“ma si candida nel centro?”) perché lui ritorna, e come il conte di Montecristo si vendicherà sicuramente dei torti subiti. E allora eccolo, Ignazio Marino, già sindaco marziano, il defenestrato del Campidoglio, cacciato dal Pd romano come un calcolo renale nove anni fa, che rimette piede in politica e dunque si candida alle europee. Ma con i Verdi. Con la Sinistra italiana. Oggi l’annuncio ufficiale. L’avevamo lasciato così, Marino, una fredda sera di ottobre del 2015, con Matteo Orfini, presidente del Pd, che lo implorava di dimettersi “per carità di Dio”. Mentre lui, il sindaco chirurgo, rispondeva con l’inconfondibile voce di chierichetto devoto a Sacher-Masoch: “Io non solo non mi dimetto, ma se mi sfiduciate convoco pure una conferenza stampa e faccio i nomi di chi mi aveva consigliato di assegnare gli incarichi a Ozzimo e a tutti gli altri inquisiti in Mafia Capitale”. Finì come finì. Ma ora egli ritorna, e come Edmond  Dantes farà giustizia e darà a ciascuno il fatto suo.
 

E già si preoccupa Gualtieri, perché ha in animo di risolvere il problema della monnezza romana con il termovalorizzatore, mentre il chirurgo della vendetta, cioè Marino, quello che chiuse la discarica di Malagrotta a Roma, farà campagna contro quell’opera. Diritti civili, salute e ambiente. E già nel Pd, ammesso che Elly Schlein li metta in posizione sufficientemente buona da essere eletti, si accigliano tutti quelli come Zingaretti perché bisogna ricordare che nella circoscrizione Italia centrale, nel 2019, alle scorse elezioni europee, per il Pd furono eletti in quattro di cui uno con i resti. Insomma il quarto posto fu soltanto un colpo di fortuna, dovuto al fatto che la sinistra a sinistra del Pd non aveva raggiunto la soglia di sbarramento. Ma adesso? Con Marino? Non bastavano i civici nelle liste del Pd che tolgono posti al ceto politico del partito? Ci mancava soltanto Marino. Il Vendicatore già pronto a riversare nelle orecchie degli elettori il ricordo stinto, ma pur sempre vivo, di Mafia Capitale che fu scandalo tutto interno al Pd romano.
 

D’altra parte inutile aspettarsi clemenza: Dio perdona, Marino no. Egli ha passato gli ultimi nove anni a rilasciare interviste nelle quali descriveva il suo ex partito, di cui fu anche candidato alle primarie per la segreteria, come una cosa a metà tra Sodoma e Gomorra. Perché imperdonata fu e imperdonabile resta la sua defenestrazione capitolina da parte di molti che ancora adesso stanno lì, in Parlamento e nelle liste per le europee. Quella sera di ottobre, nove anni fa, nelle stanze del Nazareno, si facevano calcoli, si telefonava anche agli avversari, a quelli di Forza Italia, a Fabio Rampelli di Fratelli d’Italia: “Potremmo far dimettere metà del Consiglio comunale, tutti insieme, maggioranza e opposizione per liberarci di Marino”. Ciascuno cercava l’idea risolutiva per liberarsi del sindaco e della sua pirotecnica esperienza di governo: “Meglio una fine spaventosa che uno spavento senza fine”.
 

Cosa fu Ignazio Marino a Roma? Un pasticcio dell’ideologia? Il governo di un puro? Chissà. La città si riempiva di monnezza, e lui celebrava matrimoni gay non ancora previsti dal codice civile. Intanto però eliminava l’acqua minerale dagli uffici del comune “perché quella del rubinetto è più buona”. Poi rinominava l’assessorato allo Sport in Benessere e Qualità della vita. Si occupava anche di toponomastica, proponendo una via Vittime di Hiroshima, una via Salvador Allende, una via Nelson Mandela e una via Enrico Berlinguer. Girava anche la città in bicicletta (un giorno cadde e finì col sellino per terra), quindi annunciava di volere un corpo di polizia municipale su due ruote “molto più efficaci per il controllo del territorio” mentre intanto però gli autobus cominciavano a saltare le corse e una banda di magliari stampava biglietti falsi dell’Atac. Poi venne il pasticcio burino di Mafia Capitale. “Un fatto tutto interno al Pd”, è la sua idea. E quando pronuncia queste parole, Marino assume un sorriso soddisfatto e indispettito, con la stizza che gli guizza negli occhi. Nei confronti del suo ex partito, statene certi, sarà tollerante con ferocia e spietato con dolcezza. Se fossimo Zingaretti, Gualtieri o chiunque altro del Pd romano cominceremmo seriamente a pensare di raggiungere al più presto Goffredo Bettini in Thailandia.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.