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il dibattito

La ministra Roccella e la solidarietà femminile. Ma libertà è anche disaccordo

Letizia Paolozzi

Un conto è tessere legami con la donna umiliata dal linguaggio fallocratico e machista per il suo sesso, altro conto affezionarsi all’idea che la politica consista nell’appartenenza al comune sesso femminile.  Ci si può difendere senza chiamare in causa la "sorellanza"

Delle molte (forse troppe?) questioni che nel suo intervento pone Eugenia Roccella scelgo quella che mi sta più a cuore: l’invocazione della parola “sorellanza” rivolta al femminismo perché “inquieta il fatto che qualunque insulto sessista, qualunque epiteto volgare, offensivo e biecamente antifemminista rivolto a Giorgia Meloni o a una donna di destra non susciti nessuna ribellione, nessuna solidarietà spontanea tra donne”.

Una volta non era così; una volta c’era appunto “la sorellanza” – rimpiange Eugenia Roccella – che “oltrepassava ogni diversità politica, etnica e sociale, che accomunava tutte”. Ma oggi se una donna in Italia ha assunto il ruolo di premier o un’altra, sempre in Italia, ricopre il ruolo di segretaria del principale partito di opposizione, non hanno gli strumenti per difendersi senza chiamare in causa “la sorellanza”? 

D’altronde, fin dall’inizio molte femministe riconobbero l’ambiguità di questa parola proprio perché non volevano che le donne venissero soffocate nel lago della debolezza, nella palude del vittimismo. 
 

Un conto è tessere legami con la donna umiliata dal linguaggio fallocratico e machista per il suo sesso o con il gay, il trans vilipeso per i suoi orientamenti e identità, altro conto affezionarsi all’idea che la politica consista nell’appartenenza al comune sesso femminile. A prescindere da quello che ogni essere sessuato al femminile dice, dalla visione del mondo che esprime. 

E poi, la politica delle donne è fatta di urti, convergenze, divergenze, di relazioni anche conflittuali ma che, trattate con cura, non diventano contrapposizioni mortali amico-nemico. Fra gli esempi negativi, la ministra per le pari opportunità e la famiglia porta quello che è accaduto a Chiara Saraceno (che, contestata “perché contestato l’evento”, ha lodato come positiva la voglia di discutere degli studenti); “l’assalto al Salone del libro di Torino che mi ha impedito di parlare”; “l’indifferenza verso le feroci violenze commesse da Hamas sulle ragazze e le donne dei kibbutz il 7 ottobre”. Non credo che possano essere messi sullo stesso piano episodi tanto diversi. Quanto al silenzio, al ridimensionamento di ciò che è accaduto il 7 ottobre si dovrebbe poterne discutere tra femministe. Finora non ci siamo riuscite e certo, è un problema. Comunque, oltre alla solidarietà tra donne, il femminismo non ha messo in atto una politica che critica alla radice il tipo di potere politico che invece alcune donne di potere incarnano?

Per questo, vorrei avere la libertà di contrastare chi – pur con un corpo di donna – coltiva idee che considero sbagliate come quella di lasciare annegare gli immigrati piuttosto che salvarli oppure si schiera per la guerra perché “l’atlantismo ce lo chiede”. Se il mondo è cambiato anche per via del femminismo, oggi la libertà è nelle nostre mani. La “femminista” Eugenia Roccella non è d’accordo? 
 

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