Agricoltori contro Kyiv

La difesa dell'Ucraina non vale un trattore di Coldiretti

David Carretta

Con l'avvicinarsi delle elezioni europee anche il presidente francesce Emmanuel Macron e quello polacco Donald Tusk - sulla carta i più strenui sostenitori di Kyiv - spingono con Ungheria, Romania e Bulgaria per reintrodurre i dazi al grano ucraino. E Meloni che fa? Il voto dell'Italia sarà decisivo per far saltare la maggioranza qualificata al prossimo Consiglio europeo

Bruxelles. Consiglio europeo dopo Consiglio europeo, i capi di stato e di governo dei ventisette stati membri continuano a esprimere il loro “sostegno incrollabile” per l’Ucraina, vittima della guerra di aggressione della Russia. Vertice dopo vertice, promettono di aumentare il supporto finanziario, economico, umanitario e militare. Per dare concretezza a quelle parole, nel giugno del 2022, l’Ue decise di liberalizzare il commercio con l’Ucraina, compreso il settore agricolo. La fine delle quote e dei dazi è servita a tenere in vita l’economia ucraina alle prese con i missili e i campi minati, grazie alle esportazioni verso l’Ue e altri mercati mondiali. Ma, a meno di novanta giorni dalle elezioni europee, per alcuni leader, anche tra quelli che si dicono più solidali con Kyiv, l’Ucraina non vale la Coldiretti o una delle tante lobby agricole che alimenta la protesta dei trattori per spingere l’Ue a chiudere le frontiere al grano e agli altri prodotti ucraini. La carica per tornare a quote e dazi contro l’Ucraina è guidata da Francia e Polonia, due dei paesi che esprimono in pubblico il più forte sostegno. Emmanuel Macron e Donald Tusk hanno trovato nei premier filo Putin, l’ungherese Viktor Orban e lo slovacco Robert Fico, due alleati. Ultima in ordine di tempo – ma decisiva per le sorti della liberalizzazione degli scambi a favore di Kyiv – anche l’Italia di Giorgia Meloni si è unita al fronte che vuole chiudere le frontiere all’agricoltura ucraina.

Il tema del grano ucraino tiene impegnata la Commissione di Ursula von der Leyen da un anno. Prima il problema era limitato a cinque paesi frontalieri – Polonia, Ungheria, Slovacchia, Romania e Bulgaria – che si dicevano vittime di un’invasione di cereali. La Commissione ha stanziato aiuti straordinari (oltre 150 milioni di euro) e chiuso gli occhi sulla decisione di Polonia, Ungheria e Slovacchia di imporre embarghi nazionali unilaterali in violazione delle regole dell’Ue. Con le proteste dei trattori di inizio anno, il problema dell’agricoltura ucraina ha assunto una dimensione politica continentale. Macron ha iniziato a fare pressioni per imporre restrizioni alle importazioni di pollo, zucchero e uova. Tusk non ha osato sfidare i contadini polacchi che bloccano il transito di merci da e per  l’Ucraina. La Commissione ha proposto salvaguardie automatiche e meccanismi per introdurre eventuali embarghi nazionali. Il Parlamento e i governi avevano trovato un accordo per allargare l’elenco dei prodotti importati considerati “sensibili” (avena, mais, semole e miele oltre a polli, zucchero e uova) e ridurre i tempi di attivazione della salvaguardia automatica (da 21 a 14 giorni) di ritorno al sistema di quote e dazi quando i volumi importati superano la media del 2022-23. Ma per Francia e Polonia non è sufficiente. E nemmeno per l’Italia. Macron e Tusk insistono per includere anche il grano tra i prodotti “sensibili” e per estendere al 2021 il periodo di riferimento che fa scattare il ritorno automatico a quote e dazi. Il governo Meloni vuole assolutamente il 2021. Al di là dei dettagli tecnici, per l’Ucraina significherebbe una riduzione di entrate di almeno 1,2 miliardi di euro l’anno.

Durante il suo intervento in videoconferenza la scorsa settimana, il presidente Volodymyr Zelensky ha ricordato che la liberalizzazione commerciale riguarda “la capacità di resistere all’aggressione russa (…). Qualsiasi perdita commerciale è una perdita di una risorsa per fermare la Russia”. A causa della fine della legislatura del Parlamento europeo, se non ci sarà un accordo rapido, a giugno ritorneranno le quote e dazi non solo per i prodotti “sensibili”, ma anche per 36 prodotti agricoli ucraini. L’Italia è decisiva per far mancare la maggioranza qualificata al Consiglio. Secondo il governo Meloni, “occorre trovare un punto di equilibrio tra l’appoggio all’Ucraina e la necessità di non penalizzare il settore agro-alimentare”, spiega una fonte diplomatica: “L’interesse dell’Ucraina non deve essere visto come potenzialmente in contrasto con quello di settori nazionali”. I produttori di pasta vorrebbero continuare a importare. Per la Coldiretti, il compromesso attuale “non tutela il grano italiano”. La strategia geopolitica dell’Italia e dell’Ue è nelle mani della lobby agricola.

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