La Lega del Bounty

Salvini al federale: "Espulso, chi parla". Luca Zaia: "Ci fai perdere voti con gli show sovranisti"

Carmelo Caruso

Ancora fughe di leghisti verso il movimento di Cateno De Luca. Adesso pure il sud si ammutina e guarda altrove. All'evento sovranista di sabato parla pure Giorgetti

Hanno la guerra in casa e inseguono chi la racconta. Mezza Lega si è ammutinata, i leghisti valdostani, escono, si federano con i messinesi di Cateno De Luca, e la Duma di Salvini, i consigliori, gli sa solo suggerire  di aprire un campo per dissidenti, cronisti ostili e legni storti. Al federale della Lega, convocato d’urgenza, Salvini ha detto che “da ora in avanti chi parla di cose interne sarà espulso”, che i congressi “si faranno in estate”, che vuole “squadra compatta”.  Sabato, a Roma, all’evento punkofascio, parleranno  i ministri della Lega compreso Giorgetti.  Luca Zaia ha risposto a Salvini  che questi eventi “fanno perdere voti” e di non parlare di squadra, dato che, in Veneto, gli ultras del cattolicesimo “ci hanno mandato sotto”. E’ il momento “Bounty”. Si ammutinano al nord, al sud, in Campania, Sicilia, perché, come nel film con Marlon Brando, una cosa sono i gradi, un’altra è la stima.


Ha un ministero da gestire, un partito che gli sta franando, ma chi sta intorno a Salvini, anziché ragionare, interrogarsi su chi sta avvelenando il corpo, occuparsi della lotta feroce  in Lombardia, tra FdI e Lega, lo aizza contro i giornali. Al Question Time, al Senato, il vicepremier si è presentato con il suo capo di segreteria. Era pensoso, e non era per nulla punkofascio, anzi, rispondeva alla senatrice Lella Paita, di Italia viva, che gli chiedeva dei taxi, delle licenze, senza fare mossette. Era in piedi, accanto al ministro Sangiuliano. Ad ascoltarlo è venuto pure Claudio Durigon, il sottosegretario, che correva facendoci il segno della marachella. Stefano Candiani, alla Camera, spiegava che a volte “la migliore cosa da fare è non fare nulla perché in questo momento più ci si muove e più si rischia di sbagliare”. E’ vero che la Lega è attaccata ma è anche vero che nessuno la attaccherebbe se Salvini fosse composto come lo è stato in conferenza stampa, dopo la riunione del Cipess, quando fissava la sua asticella alle europee, “l’obiettivo è arrivare come  minimo in doppia cifra”, o quando garantiva che sabato, agli studios Tiburtina, “non c’è nessuna internazionale nera, ma solo 1.500 pacifici”. Il suo inferno è dentro. Era da mesi che in Lombardia gli proponevano di anticipare il congresso regionale, di indicare candidato unico Massimiliano Romeo, ma lui, e dicono malconsigliato, ha preferito prendere tempo. Il congresso potrebbe tenersi a fine aprile e c’è chi propone il nome di Candiani per pacificare. E però, Milano, c’è ora Paolo Grimoldi, l’ex segretario della Lega lombarda, che non smette, e che sul suo profilo Facebook pubblica quotidianamente l’elenco dei fuoriusciti con la dicitura “uno al giorno”. A Catania, il primo leghista siciliano, il più famoso, Fabio Cantarella, rilascia interviste per dire, l’ultima a La Sicilia, “non è più la mia Lega”. Sono appena usciti altri quattro consiglieri regionali. Sono Andrea Ulmi, in Toscana, Claudio Leone in Piemonte, Mabel Riolfo in Liguria, e Pino Cangemi nel Lazio. Non è una novità. Qualsiasi partito in crisi registra “arrivederci”, ma è l’odore di carcassa che spaventa il segretario, è il corpo che ora viene aggredito al sud da FdI e Forza Italia. C’è una danza intorno ai salviniani che hanno altre tradizioni politiche e che hanno scelto la Lega solo per il loro leader, per l’esperimento nazionale che si sta esaurendo. Sono parlamentari, consiglieri regionali che cominciano a chiamare da Bari, Reggio Calabria, come fanno dal Veneto, per lamentarsi che “i ministri della Lega sono cinque e tutti lombardi. L’unica meridionale è Pina Castiello, sottosegretaria ai Rapporti con il Parlamento, ma è una carica di basso livello. Rossano Sasso, non è più sottosegretario. La Lega del sud chi ha al governo?”. L’operazione di Salvini con l’Udc, la federazione, al momento ferma, serviva a dare riferimenti a questo mondo birichino che con la Lega, prima di Salvini, non aveva niente da spartire. Lo sanno tutti, che in Campania, il nome pregiato di Salvini è Gianluca Cantalamessa, capogruppo in commissione antimafia, il senatore a cui Salvini avrebbe voluto affidare la commissione speciale d’inchiesta sugli spioni. E’ corteggiato da FdI perché la famiglia Cantalamessa, il padre, Antonio, ha fatto la storia dell’Msi, come quella di Zinzi, Gianpiero, altro  leghista, figlio di Domenico, già sottosegretario alla Salute con Berlusconi, una vita da democristiano, che è puntato da Forza Italia. Lui, Salvini, continua  a flirtare con Vannacci che lo tiene sospeso, tanto da dover anticipare, prima di entrare al federale, che non si sarebbe parlato del generale ma “solo di chi stenderà il programma”. Erano le 19 di sera, quando ai gruppi, alla Camera, Salvini ha convocato questa famiglia tormentata che sta scegliendo la più dolorosa delle resistenze. Cosa dirà Giorgetti ai punkofasci? Perché non gli dice quello che pensa, perché non gli dice: “Cari, io con voi non ho nulla da spartire, e mi dispiace per Salvini, mi dispiace vederlo consumarsi in mezzo a voi”. E invece si voltano dall’altra parte, si beccano come corvi, senza  il piacere di Jules Renard, che era sapersi dire addio.

 

  • Carmelo Caruso
  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio