Il caso

Meloni lancia "Italofisco" il tormentone per prendere voti al nord leghista

Simone Canettieri

La riforma della premier guarda al popolo delle partite Iva, base elettorale di Salvini. Il capo del Carroccio non commenta il provvedimento ma passa la giornata a creare problemi in Senato

Lui sognava la pace fiscale, lei gli ha cantato “Italofisco”, nuovo tormentone della casa discografica di Palazzo Chigi da ballare alle prossime europee in mancanza di altro o di meglio. Alla fine il cavallo elettorale di Matteo Salvini è diventato un provvedimento, rivisto e corretto certo, che Giorgia Meloni punta a vendersi in vista delle europee. Soprattutto al nord, tra il popolo delle partite Iva,  base elettorale e Dna del Carroccio. Durante un convegno alla Camera – accompagnata dal Guardasigilli Carlo Nordio per dissimulare qualsiasi tensione – la premier non se l’è presa, come accadde in Sicilia, con “il pizzo di stato”. Ma si è limitata a rovesciare l’epigrafe di Tommaso Padoa Schioppa, ministro dell’Economia nel secondo governo Prodi: “Non dirò  mai che le tasse siano una cosa bellissima”. La riforma del fisco (“che non deve disturbare le aziende”) e la riscossione dolce delle cartelle esattoriali sono messaggi agli elettori leghisti delusi da Salvini. “Quello che preferisco/ è un chiodo fisso: italofisco”.   

Meloni dice di portare avanti il programma elettorale, sul fisco parla di “una riforma attesa da cinquant’anni”. Sono parole e fatti che trovano appeal in territori dove una volta la Lega era più di un partito, ma una specie di sindacato territoriale. Ora tutto sta cambiando molto velocemente. Basti pensare che in Lombardia, secondo un sondaggio interno commissionato da Forza Italia a Swg, il partito di Salvini alle europee è dato al 12 per cento, con gli azzurri al dieci. E anche in Veneto la situazione sembra abbastanza complicata, complice l’ascesa di Fratelli d’Italia nella terra del doge Zaia. Bastava osservare ieri la serenità d’animo di Luca De Carlo, senatore meloniano, mentre godeva a vedere  affondare l’ennesimo tentativo della Lega di far passare il terzo mandato per i governatori. 

Emendamento, presentato uguale da Italia Viva, respinto con forza dal resto della maggioranza e da tutta l’opposizione. Un caso di scuola di come i rapporti interni al centrodestra ormai potrebbero essere scritti anche da chat Gpt: Meloni dice no, Salvini va dall’altra parte, c’è lo scontro, poi la conta e alla fine vince la premier con il suo vice che, in ritirata, annuncia: “Non finisce qui”. Dinamica simile, sempre in Senato, è avvenuta anche con un altro emendamento sempre leghista, questa volta sull’abrogazione del ballottaggio nei grandi comuni qualora il candidato sindaco ottenga il 40 per cento al primo turno. Non era concordata nemmeno questa mossa, seppur rientri nell’idem sentire del centrodestra. Sicché alla fine per evitare il secondo ko, e dunque l’ennesimo indizio della presenza una corda pazza all’interno della coalizione, l’emendamento al dl elezioni è diventato un banale ordine del giorno che vale il giusto. Cioè niente o poco più.       

E’ stata questa la coda di una giornata amara, da lasciar stare, per Salvini.  

L’evento autocelebrativo di Meloni sul fisco si è svolto sotto l’egida, più euforica del solito, del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti che ha parlato di “impresa storica” a proposito dell’approvazione in tempi record della legge delega e dei decreti a essa collegati. Un successo del governo, che Salvini difficilmente riuscirà a capitalizzare nelle urne. E’ questa la sua ossessione mentre percepisce intorno a sé smottamenti elettorali. Anche l’accordo con l’Udc, come raccontato dal Foglio, non riesce a vedere la luce: l’unico acquisto di peso al sud resta Aldo Patriciello, signore delle preferenze uscito da Forza Italia che se sarà eletto nella Lega il giorno dopo lascerà la casa salviniana di Id per tornare nei Popolari europei, come confidano i centristi che hanno benedetto questa operazione. Il problema resta il nord, però. Dove la marcia di Meloni sembra, strategia alla mano, abbastanza inesorabile. Lo dimostra anche il braccio di ferro sul Veneto.

Anche se poi si finisce sempre al voto del 9 giugno. Non a caso la leader della destra italiana dice che  “stiamo lavorando per allineare le sanzioni ai parametri europei perché quelle che avevamo erano sproporzionate, illogiche, vessatorie, e a giudicare dai dati dell’evasione fiscale che sono sostanzialmente rimasti immutati nonostante l’inasprirsi delle sanzioni, anche abbastanza inutili”. Non è un caso che alla fine della solita giornata piena di tweet e iniziative politiche Salvini non abbia trovato nemmeno un secondo per commentare la riforma del fisco. Un altro tema che, seguendo la corrente, va verso Fratelli d’Italia. 

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.